Osteoporosi


Si tratta della patologia metabolica dell’osso più frequente ed è caratterizzata da un alterato turnover osseo (a favore del riassorbimento) e conseguente riduzione quantitativa della massa ossea e qualitativa della matrice ossea.

Dal punto di vista clinico, questa alterazione si traduce in un’aumentata fragilità ossea.
A livello istologico si verifica una riduzione sia dello spessore corticale che di quello trabecolare.  
La diagnosi di osteoporosi viene posta in base a valori di densità minerale ossea (BMD) al di sotto di 2,5 deviazioni standard rispetto a quella di un giovane adulto sano dello stesso sesso al picco di massa ossea (T score), ossia tra i 25 e i 30 anni.

Dal punto di vista classificativo suddividiamo l’osteoporosi in due categorie:
·         Primaria: rappresenta la forma più comune di malattia, non è associata ad altre patologie ed a sua volta viene suddistinta in tre sottocategorie.
o   Tipo 1 (postmenopausale): ha una prevalenza femminile (6:1) in età post-menopausale (50-75 anni), è caratterizzata da un aumentato riassorbimento osseo a carico soprattutto dell’osso trabecolare e presenta complicanze fratturative soprattutto a carico dei corpi vertebrali e della diafisi distale del radio (frattura di Colles)
o   Tipo 2 (senile): ha una prevalenza femminile (2:1) in età avanzata (sopra i 70 anni), è caratterizzata da una ridotta osteosintesi a carico sia dell’osso trabecolare che di quello corticale e presenta complicanze fratturative soprattutto a carico dei corpi vertebrali e della diafisi delle ossa lunghe (collo femorale, omero prossimale, tibia e pelvi).
o   Idiopatica giovanile e del giovane adulto: rara.
·         Secondaria: è meno frequente ed è determinata dalla concomitante presenza di altre condizioni cliniche quali:
o   Malattie endocrinologiche e metaboliche: ipogonadismo, iperparatiroidismo, ipercortisolismo, ipertiroidismo, ipofosforemia.
o   Malattie generiche: osteogenesi imperfetta, sindrome di Ehlers-Danlos, sindrome di Marfan, omocistinuria.
o   Utilizzo di farmaci: glucocorticoidi, eparina, antiestrogenici.
o   Altre: immobilizzazione, denutrizione, mieloma, scorbuto, alcolismo.

Le manifestazioni cliniche sono determinate esclusivamente dagli eventi fratturativi, in quanto la riduzione della massa ossea è, di per sé, asintomatica. Le fratture vertebrali (distinte in tre tipologie secondo la classificazione di Genant: acuneo, biconcava, posteriore) si localizzano prevalentemente a carico del distretto dorso-lombare (fratture apicali a D6 devono far sospettare un’eziologia diversa, spesso tumorale) e causano, nel 30% dei casi, dolore acuto a livello del rachide spesso irradiato all’addome.

Per quanto riguarda la diagnosi di osteoporosi, la densitometria ossea a raggi X (DXA) rappresenta il gold standard (non è però un esame di screening e va eseguita seguendo le regole redatte dal Ministero della Salute). La Rx risulta invece la metodica di scelta per evidenziare eventuali fratture. Ruolo secondario, ma non marginale, è rivestito dalla RM, molto utile per discernere l’epoca recente o pregressa delle fratture vertebrali in base alla presenza o all’assenza di edema corticale osseo. Un ulteriore strumento utile nella pratica clinica risulta essere l’indice FRAX, un modello che permette di predire il rischio assoluto di frattura a 10 anni basandosi su un algoritmo che combina diverse varianti cliniche di rischio. Questo indice è lo strumento più valido per differenziare i pazienti ad alto rischio (che possono quindi trarre vantaggio da un trattamento farmacologico) da quelli a basso rischio (che non necessitano di trattamento), anche se non esiste attualmente un cut-off universale.
Le indagini bioumorali di laboratorio sostanzialmente non mostrano alterazioni nei soggetti affetti da osteoporosi (nel 20% dei pazienti con osteoporosi di tipo 1 si può osservare ipercalciuria), tuttavia risultano importanti per diagnosticare forme di osteoporosi secondaria, per eseguire una corretta diagnosi differenziale con altre malattie metaboliche dello scheletro (anch’esse caratterizzate da una riduzione della BMD) e per orientare nelle scelte farmacologiche e fornire elementi utili per valutare l’aderenza alla terapia. Gli esami di primo livello utili sono: VES, emocromo, proteine totali, elettroforesi proteica, calcemia (corretta), fosforemia, fosfatasi alcalina, creatininemia e calciuria delle 24h.
La diagnosi differenziale si pone più frequentemente con:
·         Mieloma: caratterizzato da un riscontro plasmatico e urinario di Ig monoclonali, uno spiccato aumento della VES e dei livelli di calcemia e da fratture con aspetto osteolitico. In un 2% dei casi il mieloma viene definito “non secernente” e non mostra alterazioni ematochimiche (la diagnosi viene posta mediante biopsia osteomidollare).
·         Osteomalacia: carattarizzata da ipocalcemia, ipofosfatemia ed elevazione della fosfatasi alcalina (ossea). A livello radiologico sono caratteristiche le pseudofratture o linee di Looser-Milkman.
·         Osteogenesi imperfetta: nei casi lievi di malattia può essere necessaria l’esecuzione di una biopsia ossea per effettuare la diagnosi.
·         Iperparatiroidismo primitivo: caratterizzata da ipersecrezione di PTH (frequente riscontro di adenoma paratiroideo) che presenta valori elevati, ipercalcemia ed ipercalciuria, ipofosfatemia ed iperfosfaturia.
·         Metastasi ossee: spesso dovute a K polmonare, mammario, renale e del tratto gastrointestinale. A livello radiologico causano fratture vertebrali che spesso coinvolgono anche il peduncolo e l’arco vertebrale posteriore (a differenza delle fratture vertebrali osteoporotiche che coinvolgono invece solo il corpo vertebrale).
·         Malattia di Paget: caratterizzata dalla distribuzione ubiquitaria delle lesioni e dall’aumento di fosfatasi alcalina, piridolina e idrossiprolinuria.

Il trattamento delle fratture osteoporotiche dipende dalla sede colpita. Le fratture dell’anca generalmente richiedono un trattamento chirurgico associato ad un percorso riabilitativo. Il trattamento delle fratture vertebrali è invece essenzialmente sintomatico (analgesici e riposo) associato al posizionamento di un busto ortopedico da indossare durante la stazione eretta. La vertebroplastica o cifoplastica è indicata qualora il trattamento conservativo non risulti efficace o se non vi sia risoluzione del processo fratturativo (persistenza dell’edema osseo alla RM).

Il trattamento farmacologico dell’osteoporosi è invece indicato nei pazienti ad alto rischio fratturativo (è regolato dalla nota 79) e si basa sull’utilizzo di due classi di farmaci:
·         Antiriassorbitivi
o   Bifosfonati: analoghi del pirofosfato inorganico che, legandosi ai sali di calcio della matrice ossea, ne inibiscono il riassorbimento. Sono in assoluto i farmaci più utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi ed esistono in varie molecole (alendronato, risedronato, zolendronato, ibandronato ecc) con diversa potenza e durata d’azione (esistono quindi diverse posologie di somministrazione), tutte in grado di ridurre l’incidenza di fratture vertebrali e del collo del femore. Gli effetti collaterali sono rappresentati principalmente da gastriti, esofagiti e sindromi similinfluenzali (per le formulazioni endovenose). Più rare, anche se note, sono l’osteonecrosi del mascellare e le fratture femorali atipiche (dopo anni di trattamento cronico).
o   Denosumab: anticorpo monoclonale diretto contro RANK-L che agisce inibendo la formazione, funzione e sopravvivenza degli osteoclasti.
o   SERM: i modulatori selettivi dei recettori estrogenici (raloxifene, tamoxifene) hanno dimostrato un’efficacia nel ridurre l’incidenza delle fratture vertebrali (non quelle femorali)
o   Ranelato di stronzio: ormai in disuso per l’aumento del rischio cardiovascolare e trombotico che determina.
·         Anabolici
o   Teriparatide: forma ricombinante del frammento amminoterminale 1-34 del PTH, è in grado di ridurre l’incidenza di fratture vertebrali e del collo femorale. Per il suo prezzo molto elevato è riservato alle forme più gravi di malattia.

In tutti i casi il trattamento include la supplementazione di calcio e vitamina D e l’associazione con misure non farmacologiche quali l’assunzione di un regime alimentare corretto, l’esercizio fisico e l’abolizione dei fattori di rischio come il fumo e l’alcool.

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