Condropatie

Le condropatie sono patologie che coinvolgono la cartilagine (la degenerazione della cartilagine porta all’artrosi, la patologia in assoluto più frequente in ortopedia).
Le articolazioni sono suddivise in sinartrosi e diartrosi.
L’articolazione sinoviale (diartrosi) è un organo vero e proprio, ossia un insieme di tessuti strutturati e organizzati. È una struttura altamente ingegnerizzata in grado di garantire movimenti complessi (spesso su più piani dello spazio), regolabili con precisione e ripetibili milioni di volte (anche a carico diverso). Perché questo accada, l’attrito tra i due capi articolari, deve essere bassissimo. Per queste caratteristiche di complessità e precisione, l’articolazione è meccanicamente ineguagliata.
Le tre componenti principali dell’articolazione sinoviale sono:
·         Cartilagine
·         Membrana sinoviale
·         Liquido sinoviale

Le estremità ossee delle articolazioni sinoviali dei mammiferi sono ricoperte di uno strato di cartilagine ialina che consente congruenza tra o due opposti elementi scheletrici, facilita il trasferimento delle forze tra essi, permette un movimento reciproco praticamente senza attrito e agisce come ammortizzatore dei carichi meccanici.

La cartilagine articolare ha caratteristiche macroscopiche molto evidenti: è bianca-azzurrina con aspetto translucido, liscio e compatto.
Le cartilagini hanno caratteristiche diverse tra le diverse articolazioni o all’interno della stessa articolazione (a seconda del carico che devono sostenere):
·         Spessore (da 6-7 mm nel giovane a 1-2 mm nell’anziano)
·         Densità cellulare
·         Composizione della matrice
·         Proprietà meccaniche

Caratteristica unica della cartilagine ialina (quella delle articolazioni sinoviali), è quella di essere priva di vasi sanguigni e linfatici e di essere priva di nervi (un’alterazione cartilaginea non provoca direttamente dolore). Oltre a queste caratteristiche, la cartilagine ialina è inoltre dotata di elevata resilienza, elevata resistenza in compressione (le forze di taglio, invece, possono maggiormente fare dei danni) e basso potenziale rigenerativo (dovuto anche all’assente vascolarizzazione).
La resilienza del tessuto cartilagineo è ben visibile artroscopicamente con un palpatore (si schiaccia il tessuto il quale, successivamente, torna alla posizione originale).

La cartilagine articolare quindi
·         Sopporta e distribuisce il carico meccanico
·         Assorbe gli urti
·         Riduce al minimo le frizioni
·         Consente un movimento armonico e a basso attrito

La cartilagine articolare è composta da
·         Acqua (60-80% del peso)
·         Cellule: condrociti (2-10%)
·         Matrice extracellulare (20-25%)
o   Collagene
§  Disposto ad “archi”, si ancora ad una componente cartilaginea simile all’osso (zona calcifica)
o   Acido ialuronico
o   Proteoglicani (simili ma più complicati e specializzati dell’acido ialuronico)
o   Altro (proteine non collageniche e lipidi)

La strutturazione molecolare della cartilagine è suddivisibile in 4 strati principali:
·         Zona superficiale (tangenziale o zona 1)
o   Alta densità di fasci collagene paralleli alla superficie articolare (questa disposizione consente alla cartilagine di resistere alle forze tangenziali)
o   Condrociti piatti e ordinati secondo le fibre
o   Meno proteoglicani
o   Alta concentrazione di acqua (85%)
·         Zona intermedia (transizionale o zona 2)
o   Minore densità
o   Fasci collagene obliqui
o   Condrociti rotondi disposti in modo disordinato
o   Elevata concentrazione di proteoglicani
·         Zona profonda (radiale o zona 3)
o   Larghe fibre collagene perpendicolari
o   Condrociti rotondi disposti in colonne
o   Massima concentrazione di proteoglicani
o   Meno acqua
·         Zona calcifica (radiale o zona 4)
o   Fasci collagene radiali
o   Condrociti rotondi immersi nella matrice calcificata (producono collagene X e fosfatasi alcalina)
o   Elevata concentrazione di sali di calcio e bassa di proteoglicani
Il passaggio tra zona profonda e cartilagine calcifica è segnata dalla tidemark (linea di marea), sottile linea basofila al di sotto del quale si incominciano a trovare i vasi sanguigni (importante dal punto di vista chirurgico). Al di sotto della cartilagine calcifica c’è l’osso (molto compatto, per fornire una base d’appoggio al tessuto cartilagineo).

condrociti sono l’unica popolazione cellulare, altamente specializzata, di forma ovoidale o sferoidale. Essi sono accolti in piccoli spazi (lacune), ed hanno disposizione singola o in piccoli gruppi (isogeni). I condrociti sintetizzano e assemblano i componenti della matrice extra-cellulare (proteoglicani e collagene) e ne guidano la distribuzione mantenendo l’omeostasi del tessuto (“distruggono il vecchio per formare il nuovo”).
Hanno caratteristiche molto particolari perché lavorano in condizioni di ipossia (saturazione media del 2-10%) e rispondono sia a stimoli chimici (fattori di crescita, citochine, pH) sia, soprattutto, a stimoli fisici (carico, variazioni della pressione idrostatica). Stimoli meccanici infatti, deformando lievemente le fibre collagene, vengono trasmesse al citoscheletro dei condrociti per il tramite di proteine quali ad esempio la vinculina e la ancorina.

Lo stimolo meccanico è anabolizzante (deposizione di matrice), l’assenza di stimolo porta invece ad atrofia (le articolazioni sono fatte per essere mosse! L’immobilizzazione porta ad atrofia!).

Il collagene rappresenta il 10-20% del peso umido e consente una resistenza alla compressione e alle forze di taglio. A livello cartilagineo il collagene è rappresentato, nel 90-95% dei casi, da collagene di tipo II (il tipo VI aumenta nelle fasi iniziali dell’artrosi; il tipo X è associato alla calcificazione della cartilagine come in caso di cartilagine di accrescimento, fratture, tumori calcificanti). L’assemblaggio (idrossilazione) del collagene richiede la presenza di vitamina C (i nuovi farmaci condroprotettori presentano infatti, tra i loro componenti, la vitamina C). Il catabolismo del collagene invecchiato avviene invece (i meccanismi non sono però chiari) ad opera delle metalloproteasi (quando questo catabolismo è accelerato si va incontro a quadri patologici degenerativi).

L’acido ialuronico (che variamente assemblato con proteine e GAG diventa proteoglicano) appartiene alla famiglia dei glicosamminoglicani (GAG) ed è un elemento cementante della sostanza fondamentale. Esso è composto da lunghe catene disaccaridiche (acido glucuronico + N-acetil-D-glucosammina) e funge da lubrificante del liquido sinoviale, ma non solo. Ha infatti una doppia funzione: una funzione strutturale quando associato a catene proteiche (quindi come proteoglicano) e non strutturale (lubrificante e idratante) quando liberato nel liquido sinoviale (come catene libere).
I proteoglicani sono costituiti da un asse portante di acido ialuronico e da catene laterali proteiche (core protein) e di GAG (cheratan solfato e coidroitin solfato, i quali sono considerati condroprotettori). Il più noto proteoglicano della cartilagine è l’aggrecano.

Per quanto riguarda i proteoglicani, il meccanismo di controllo della loro sintesi è molto sensibile a stimoli biochimici e fisici (lesioni, artrosi, anti-infiammatori ecc):
·         L’immobilizzazione li riduce
·         La fase catabolica sembra essere influenzata dall’IL-1
  • Le catene di GAG sono riversate nel liquido sinoviale durante la degradazione (si ipotizza quindi che i GAG potrebbero essere utilizzati come markers diagnostici precoci ad esempio dell’artrosi, dato che inizialmente il paziente, non essendo la cartilagine innervata, non sente dolore)
Essi sono dei complessi altamente idrofili grazie soprattutto alle cariche negative di condroitin solfato e cheratan solfato. Per questo motivo, i GAG tendono a richiamare acqua (la pressione dell’acqua è bilanciata dalla tenuta delle fibre collagene strettamente ancorate alla cartilagine calcifica), in fase di scarico, la quale può poi essere espulsa in fase di carico (fungendo da ammortizzatore).

L’acqua è il costituente principale della cartilagine dal punto di vista volumetrico:
·         Il gradiente ionico è regolato e mantenuto dai condrociti (il “movimento” dei liquidi è un meccanismo fondamentale per il mantenimento trofico del tessuto collagenico che, come già detto, non è vascolarizzato)
·         L’idratazione dei proteoglicani è limitata dalle fibre collagene
·         Le fibre collagene sono essenziali per il mantenimento della forma
·         Il differente contenuto di acqua nei diversi strati (e la differente distribuzione delle fibre collagene) è funzionale ai requisiti di elasticità e resistenza in condizione di carico meccanico
·         Il collagene garantisce la deformazione elastica con ritorno, in pochi centesimi di secondo, alla condizione di pre-carico

Da un punto di vista biomeccanico, il tessuto cartilagineo presenta una grande capacità di assorbire treni di onde meccaniche, anche molto frequenti, grazie ad una deformabilità (elastica, non plastica) del 6-20%. È un tessuto soggetto a molti tipi di carichi meccanici, sia statici sia dinamici
·         La capacità di resistere a questi stimoli dipende dall’integrità strutturale della matrice EC
o   Collagene: resiste a forze tensili e di taglio
o   GAG: resistono alla compressione e al passaggio dei fluidi
Il carico statico, entro limiti fisiologici, determina un’inibizione temporanea della sintesi della matrice; il carico ciclico (quindi carico-scarico), invece, stimola la sintesi proteica. L’immobilizzazione o lo scarico determinano un’inibizione della sintesi dei proteoglicani e, quindi, a condromalacia (primo stadio della sofferenza della cartilagine).
Il dolore al movimento e/o al carico non origina dalla cartilagine, ma dall’osso subcondrale o dai tessuti molli articolari (che, a differenza del tessuto cartilagineo, possiedono nocicettori)!

Dal punto di vista microscopico e macroscopico, l’invecchiamento comporta:
·         Condrociti ipertrofici
·         Enzimi lisosomiali aumentati
·         Condroitin solfato: diminuisce il 4, aumenta il 6
·         Cheratan solfato: aumenta (inversione del rapporto con il condroitin solfato)
·         Riduzione della quantità di acqua
·         Riduzione dell’elasticità (e quindi della resilienza)
·         Riduzione dello spessore in toto

Nelle articolazioni sinoviali, la membrana sinoviale
·         Riveste la capsula articolare, tendini e legamenti intra-articolari
·         Produce e riassorbe il liquido sinoviale (sinovia)
o   Per aumentare la capacità di scambio, la superficie, è villosa. I villi sono rivestiti da (pochi) strati (molto sottili) di cellule, le quali sono essenzialmente di 2 tipi: un tipo ha attività macrofagica (tipo A), l’altro ha attività secernente (tipo B). I sinoviociti di tipo A hanno infatti propaggini citoplasmatiche sottili e reticolo endoplasmatico rugoso; sono assimilabili ai macrofagi e possono essere in rapido turnover con i monociti del liquido sinoviale. I sinoviociti di tipo B hanno caratteri strutturali e ultrastrutturali tipici dei fibroblasti e partecipano alla produzione di acido ialuronico (in catene libere) ad alto peso molecolare. Lo strato sottostante a quello cellulare è invece composto da tessuto connettivo lasso

La barriera emato-sinoviale (BES) è costituita da un’ampia rete vascolare della membrana sinoviale          e dalla matrice stromale che la circonda. Essa dializza il plasma e lo trasforma in lubrificante biologico ad alto tenore nutrizionale.
Il liquido sinoviale (sinovia)
·         È presente in quantità modeste (0,5-1 ml nel ginocchio)
·         Ha un’interfaccia di superficie di 50μm
·         Ha funzione lubrificante (svolta da acido ialuronico e lubricina)
·         Assorbe i carichi meccanici (perché le proteine in esso contenute conferiscono al liquido nel quale sono contenute proprietà visco-elastiche)
·         Ha funzione trofica (fornisce ossigeno e nutrienti e rimuove i cataboliti)

L’osso subcondrale (O.S.)
·         Nelle prime fasi della condropatia, l’O.S. va incontro a diverse modifiche
o   Il metabolismo degli osteoblasti è alterato: prima prevale il riassorbimento, poi l’apposizione con sclerosi ossea
o   Nei modelli animali, le alterazioni cartilaginee arrivano ben dopo quelle ossee (molti studiosi pensano comunque che, a livello umano, le alterazioni del tessuto cartilagineo precedano quelle del tessuto osseo)
o   Che cosa innesca il danno condrale è ancora ignoto: alcuni studi indicano che le alterazioni dell’OS precedono e possono essere responsabili del danno condrale (fattori prodotti nell’O.S. penetrerebbero nella cartilagine agendo sui condrociti), altri studi però, affermano che le alterazioni dell’O.S. sono secondarie a quelle condrali
o   In modelli animali di osteoartrosi, l’edema dell’O.S. è associato topograficamente a lesioni condrali
o   La presenza di edema osseo (visibile in RMN) è un forte indicatore di degenerazione articolare

Una delle ipotesi che possa giustificare la degenerazione della cartilagine e/o dell’osso sottostante è lo stress ossidativo. In recenti studi è stata infatti ipotizzata la correlazione tra stress ossidativo, disfunzione endoteliale ed artrosi. L’artrosi è caratterizzata infatti da una degenerazione della cartilagine e, in buona parte, anche dell’osso subcondrale. Uno studio fatto su liquido sinoviale di pazienti artrosici ha dimostrato una marcata riduzione dei livelli di NO. L’ossido nitrico è infatti una sostanza che svolge importanti funzioni, fra le quali: induce vasodilatazione, inibisce l’aggregazione piastrinica, inibisce l’adesione monocitaria, inibisce il rilascio di ROS e induce rilasciamento delle cellule muscolari lisce. Alcuni di queste funzioni potrebbero essere alla base dei processi metabolico-rigenerativi del tessuto osseo-cartilagineo. L’ossido nitrico è prodotto ad opera della NOS, la quale, per funzionare, ha bisogno della L-arginina (coniugata con l’ossigeno ed altri cofattori come NADPH). L’ADMA è un analogo dell’arginina e compete negativamente con questa nell’attivazione della NOS. I ROS sono in grado di inibire gli enzimi responsabili del catabolismo di ADMA, riducendo così la produzione di NOS.

Tipi di lesione cartilaginee:
·         Focali (generalmente da trauma)
o   Difetto ben delimitato
o   In genere causato da un trauma, da osteocondrite dissecante, da osteonecrosi
§  Il trauma è la causa più frequente, più spesso da sport o da incidente stradale: in genere è provocata da una forza di taglio che produce una frattura nella matrice condrale, a volte estesa all’O.S.
·         Di natura degenerativa (generalmente da sovraccarico)
o   Tipicamente mal demarcate
o   In genere sono la conseguenza di un’instabilità legamentosa (in alcune circostanze si verificano microdistorsioni con sensazioni di cedimento che comportano micro o, talvolta macrotraumi, ripetuti), di una lesione meniscale (un menisco frastagliato/irregolare diventa come una specie di cuneo che va ad intaccare la struttura della cartilagine articolare di uno o entrambi i capi articolari), di un difetto di allineamento (ad esempio un ginocchio varo comporta un’alterata distribuzione della forza peso con maggiore sollecitazione della porzione mediale), di una rigidità articolare (se l’escursione articolare o ROM, range of movements, è ridotta, tutte le sollecitazioni gravano solo su una piccola porzione di articolazione), di artrosi (deformità e alterazioni di una cartilagine determinano alterazioni anche nella cartilagine contrapposta). Non si tratta quindi, in genere, di traumi ma di microtraumi ripetuti

Generalmente, quindi, le lesioni focali sono più ristrette ed a prognosi più favorevole. Quando l’articolazione è in carico, infatti, i capi articolari si avvicinano tra loro senza che l’O.S. venga in contatto con la controparte. Quelle degenerative sono invece più ampie e portano, sotto carico, l’O.S. a toccare la cartilagine dell’altro capo articolare (in questo caso del piatto tibiale). Non avendo l’O.S. le stesse caratteristiche (compattezza, levigatezza, elasticità) della cartilagine ialina, si vengono a creare contatti con attrito.

Le lesioni cartilaginee presentano gravi stadi di gravità:
·         Normale
o   Macroscopicamente: cartilagine bianca, lucida, liscia e compatta
o   Microscopicamente: alta concentrazione di proteoglicani
·         Stadio 1, condromalacia
o   Il primo grado di sofferenza a livello cartilagineo è la condromalacia (rammollimento del tessuto). La condromalacia (in caso di immobilizzazione) si presenta macroscopicamente come cartilagine scolorita (meno lucida e con alterazioni di colore), con zone di rammollimento (il palpatore, a livello artroscopico, affonda e non è contrastato da un ritorno elastico) e, a livello microscopico, con rilascio di proteoglicani e trama fibrosa evidenziata (sostanzialmente si formano lacune). Microscopicamente si verifica un rilascio di proteoglicani e si evidenzia la trama fibrosa
·         Stadio 2, fibrillazione
o   Macroscopicamente la cartilagine appare fibrillata con tipico aspetto cotonoso (simile al cotone o al velluto). A livello microscopico, si verifica fissurazione a partenza dallo strato superficiale (le lacune quindi si ampliano e raggiungono la superficie articolare. La perdita di sostanza fondamentale comincia a mettere allo scoperto le fibre collagene che, sottoposte ad un carico al quale non sono abituate a causa dell’alterata matrice, cominciano a sfaldarsi determinando le caratteristiche macroscopiche tipiche dello stadio 2).
·         Stadio 3, ulcerazione
o   Macroscopicamente la cartilagine è fissurata (le lacune si ampliano, raggiungono la superficie e cominciano a fondersi). Microscopicamente le fissurazioni sono estese allo strato profondo ma non raggiungono l’O.S.
·         Stadio 4, esposizione
o   Macroscopicamente l’ulcerazione è così profonda che porta all’esposizione dell’O.S.. Anche microscopicamente le ulcerazioni sono estese fino all’O.S.

Tipicamente, le lesioni più avanzate, presentano nel loro contorno delle lesioni di grado inferiore; ad esempio una lesione di grado 4 è contornata generalmente da una zona di grado 3.
Al di là dei vari stadi di lesione appena menzionati, più semplicisticamente le lesioni possono essere suddivise in base al grado di profondità in:
·         Danno ai condrociti, alla matrice, all’O.S. ma senza interruzioni visibili della superficie articolare
·         Interruzione della superficie articolare, ma limitata alla cartilagine; le lesioni hanno morfologie diverse (fessure, flap, difetti focali)
·         Interruzione della superficie articolare estesa all’osso

A seconda del tipo di lesione si verificano differenti tentativi di riparazione (bisogna ricordare tuttavia che la cartilagine è un tessuto non vascolarizzato e, per questo, non può contare sull’arrivo di cellule mesenchimali riparative in grado di rimpiazzare le cellule perse).
·         Danno a cellule e matrice
o   In genere da impatto (in genere modesto; soglia della forza lesiva non ancora precisata)
o   La lesione è minima e causata da ridotta sintesi o aumentato catabolismo dei proteoglicani
o   Se i condrociti non sono danneggiati (o lo sono in numero esiguo), possono riparare il danno (purché questo non ecceda in volume quello che le cellule sono in grado di produrre in tempi brevi)
o   Se la forza lesiva persiste e/o danneggia i condrociti, si verifica (probabilmente) una reazione metabolica dell’O.S. allo stimolo meccanico con sottrazione di ossigeno alla cartilagine. L’ipossia dei condrociti (che già lavorano a livelli di ipossia) determina il rilascio di ROS che porta ad ossidazione (danno) di collagene, proteoglicani ed acido ialuronico. Questi danni determinano apoptosi condrocitaria e quindi rilascio di fattori pro-infiammatori (IL-1 TNF-α), pro-mitogeni (TGF-β) ed enzimi litici (metallo proteasi). Perdendo materiale, quindi, il tessuto cartilagineo va incontro a riduzione della resistenza e aumento della permeabilità. In questo modo il peso viene distribuito direttamente sul collagene senza la mediazione dei proteoglicani (che per primi risentono di questa condizione e si rarefanno) e senza la protezione delle cellule (che come detto vanno incontro ad apoptosi). Questi meccanismi provocano una degenerazione tissutale progressiva
o   I prodotti di degradazione della matrice extracellulare si riversano nel liquido sinoviale e vengono fagocitati dai macrofagi della membrana sinoviale. Ne deriva una sinovite con ulteriore rilascio di molecole pro-infiammatorie e citolitiche (che a loro volta peggioreranno il danno cartilagineo)
o   A seconda della fase in cui il danno si trova si potrà intervenire farmacologicamente con anaboliti della matrice, antiossidanti e/o antinfiammatori
·         Interruzione della superficie
o   I condrociti vicino alla lesione proliferano (in modo esiguo) e aumentano la sintesi di matrice ma non riescono mai a colmare il difetto. Residua quindi un’incongruenza articolare (una fossetta su una o entrambe le superfici) che aumenta l’attrito. Ne deriva una possibile evoluzione degenerativa in base all’ampiezza, alla profondità e alla sede della lesione (il difetto si amplia ulteriormente). In questo stadio è possibile (molto probabile) un’evoluzione degenerativa in base all’ampiezza, alla profondità e alla sede della lesione (ci sono settori articolari più sollecitati ed atri molto meno)
·         Lesione estesa all’osso (corrisponde al grado 4 della classificazione anatomopatologica che però viene usata anche in medicina, radiologia e chirurgia)
o   La lesione profonda ha una caratteristica fondamentale: arrivando all’O.S. raggiunge zone vascolarizzate (cosa che nelle lesioni più superficiali non avviene). La rottura dei capillari porta a sanguinamento e, quindi, alla formazione di un coagulo (la situazione è più favorevole di quella del grado precedente nel quale il danno, comunque abbastanza esteso, non è correlato a perdita ematica) che facilita la riparazione tissutale: il coagulo costituisce un’impalcatura (riempie il difetto osseo e parte di quello cartilagineo) sulla quale si possono distribuire le cellule mesenchimali fuoriuscite dal circolo. Dal punto di vista biochimico infatti, si verifica rilascio di fattori di crescita (PDGF, TGF-b) con neoangiogenesi, richiamo di cellule mesenchimali, stimolo proliferativo e anabolico. Le cellule mesenchimali fuoriuscite, sotto uno stimolo articolare blando, possono andare incontro a differenziazione condrocitaria sostituendo il tessuto danneggiato. A 2 settimane dalla migrazione infatti, le cellule della matrice assumono forma condroide e producono matrice (collagene tipo I e III). A 6-8 settimane il neo-tessuto somiglia alla cartilagine, anche se è meno ben organizzato ed ha minore resistenza e maggiore permeabilità (salvo rare eccezioni tende a deteriorarsi perché non è in grado di sopportare i carichi come in origine)
o   Uno dei grossi problemi della chirurgia ricostruttiva delle articolazioni è l’incapacità di riprodurre le caratteristiche meccaniche del tessuto di origine: infatti spesso non si riesce a far maturare il nuovo collagene in collagene di tipo II (generalmente il collagene prodotto è infatti di tipo I o di tipo III, ossia quelli tipici dell’osso e del tessuto cicatriziale che, pur essendo meglio del tessuto leso, non possiedono alcune caratteristiche essenziali del tipo II e vanno quindi maggiormente incontro ad usura), ossia quello caratteristico della cartilagine ialina (tenendo l’articolazione in blando carico, come ad esempio nel caso del nuoto o della cyclette, sembra si favorisca la formazione di collagene II). In ogni caso il beneficio indotto dal sanguinamento è sfruttato in terapia per facilitare la riparazione tissutale (tecniche di stimolazione midollare che favoriscono l’afflusso di cellule indifferenziate; necessitano di mantenere in scarico, o meglio in blando carico, l’articolazione per le settimane necessarie alla formazione di neo-tessuto)

La storia naturale di una lesione condrale è sostanzialmente sconosciuta (per la difficoltà di fare una diagnosi precoce e, quindi, di individuare soggetti adatti e seguirli per decenni). In letteratura è presente un solo studio che dimostra che le lesioni condrali, anche se asintomatiche, tendono inesorabilmente a evolvere in senso degenerativo.

Take home message:
·         Le condropatie sono di natura traumatica o degenerativa
·         I piccoli difetti focali possono restare stabili e asintomatici (anche se mancano studi adeguati a riguardo)
·         Le lesioni maggiori (quasi sempre) degenerano progressivamente
·         L’omeostasi della cartilagine è basata su un fragile equilibrio
·         Una volta perso il tessuto cartilagineo è quasi impossibile recuperarlo
·         Il paziente (e il medico) sono inconsapevoli di cosa sta accadendo (difficile diagnosi precoce e prevenzione)
·         Necessità di prevenire il processo degenerativo mediante condroprotezione (ma bisogna quindi effettuare una diagnosi precoce)
·         Indispensabile un miglioramento delle metodiche diagnostiche, sia biochimiche sia di imaging
·         Necessità di una diagnosi precoce e di dati quantitativi per la valutazione oggettiva dei risultati del trattamento (necessario)

Sintomi e segni clinici:
·         Non esiste un sintomo patognomonico (tenendo presente che il dolore è un po’ la caratteristica principale di tutte le affezioni del sistema muscolo-scheletrico)
o   Lesioni piccole possono dare dolore legato all’attività fisica e gonfiore (perché innescano reazioni nei tessuti circostanti, specialmente a livello della membrana sinoviale)
o   Lesioni ampie possono causare scatti articolari (sensazione di scatto dell’articolazione con rumori simili a scricchiolii che si sentono, talvolta, anche da fuori), blocco (se la lesione è sufficientemente profonda si può avere un impuntamento del capo articolare sul bordo della lesione con conseguente blocco articolare che regredisce dopo una serie di piccoli movimenti che permettono una migliore ridistribuzione del liquido sinoviale e, quindi, una migliore lubrificazione dei capi articolari), senso di cedimento (se la lesione è ampia e profonda, il capo articolare opposto può “precipitarci dentro”, anche se per pochissimi mm, ed essere ben avvertito dal paziente)
·         Non esiste un segno patognomonico
o   Gonfiore +/-
o   Articolarità di solito completa
o   Scatto articolare (soprattutto nelle kissing lesions. Le lesioni baciate sono quelle lesioni in cui il danno è egualmente esteso ai due versantii articolari, quasi in modo speculare. Avvenendo il movimento a livello di due superfici egualmente alterate, è più facile che si verifichi lo scatto articolare)
o   Dolorabilità sulle rime articolari +/- (non è un segno patognomonico e compare solo se la membrana sinoviale, o altre strutture periarticolari, è infiammata)

Diagnosi strumentale
·         RX convenzionale
o   Non evidenzia una lesione condrale (ma evidenzia eventuali lesioni ossee sottostanti, indicative spesso di un profondo danno condrale che coinvolge anche l’osso sottostante)
o   Consente di valutare la presenza di condizioni predisponenti come ad esempio presenza di osteoartrosi, difetti ossei, allineamento dell’arto (proiezioni in carico degli arti inferiori). Per queste valutazioni si possono utilizzare alcune proiezioni particolari che consentano di studiare l’articolazione in carico
§  Proiezione di Rosenberg: queste proiezioni vanno a studiare il ginocchio in condizioni di carico particolare, fatte in flessione di 45° per valutare la porzione posteriore dei condili femorali (che in ortostatismo non sarebbero valutabili perché non sollecitate). Nell’immagine sottostante, a sx è riportata una RX in ortostatismo, a dx una RX in proiezione di Rosenberg. La proiezione di Rosenberg consente di evidenziare un difetto della cartilagine posteriore del condilo femorale laterale, visibile come un assottigliamento dello spazio presente tra i due capi articolari
·         RMN
o   Alta definizione (almeno di 1,5 Tesla¸possibilmente 3)
o   Le sequenze in T2 hanno superiore accuratezza diagnostica (mostrano la presenza di edemi ossei, indicativi di sofferenza dell’O.S.)
o   L’obbiettivo è quello di arrivare a nuove metodiche semi-quantitative come la dGEMRIC (delayed gadolinium-enanched MRI for cartilage), in grado di evidenziare la quantità di proteoglicani in vivo
·         TC
o   Scarsamente utile
o   Valuta bene le perdite di sostanza ossea (non cartilaginea!)
o   Consente misure precise dei rapporti ossei (ad esempio nei disordini femoro-rotulei consente di effettuare ricostruzioni tridimensionali e di verificare se la rotula si trova in posizione corretta o tende a scartare, in genere lateralmente; la cosiddetta TT-TG, tuberosità tibiale-solco trocleare o troclear groove)

Trattamento conservativo
·         Misure generali
o   Correzione dei fattori predisponenti (ossia le condizioni che esasperano i carichi sulla zona lesa): sovrappeso (ovviamente per quanto riguarda lesioni articolari degli arti inferiori), difetti di allineamento, rigidità o instabilità articolari, lesioni intra-articolari
o   Abolizione dei carichi meccanici eccessivi e adozione di sollecitazioni “virtuose” (sport a basso impatto, con incremento della flessibilità e dell’elasticità mio-tendinea)
§  Questa accortezza può essere facilmente ottenuta in soggetti sportivi dilettanti (si può dire smetti di correre) ma difficilmente in lavoratori (non si può dire smetti di lavorare)
·         Misure specifiche
o   Cartilagine
§  Anabolizzanti del metabolismo condrocitario
§  Inibitori del catabolismo della matrice extracellulare
§  Antiossidanti
§  Antinfiammatori inibitori dell’IL-1 (ad esempio la diacereina è un condroprotettore molto usato in passato) e del TNF (anticorpi monoclonali)
o   Osso subcondrale (l’osso non è solo imbibito di edema ma presenta anche zone di necrosi, microfratture ed altre alterazioni come ad esempio osteoporosi; il tentativo è quindi anche quello di rinforzare l’O.S. mediante farmaci per il trattamento dell’osteoporosi)
§  Farmaci che riducono l’attività osteoclastica (bifosfonati, anticorpi anti RANKL, calcitonina)
§  Vitmina D
§  Miglioramento del trofismo osseo con stimoli fisici (campi magnetici, onde d’urto) che provocano una risposta anabolica
o   Versante vascolare
§  Fornire substrato per la NOS (e quindi favorire la formazione di NO): arginina o citrullina
§  Aumentare lo smaltimento dell’omocisteina: somministrare vitamina B6 e B12

Trattamento chirurgico
·         Artroscopia con lavaggio e debridement
o   Cercando sempre di essere il meno invasivi possibile, l’artroscopia (si fa scorrere acqua per dilatare l’articolazione e “lavare via” i frammenti) riveste un importante ruolo terapeutico. Il joint debridement (ha risultati modesti nel lungo periodo) consiste sostanzialmente in una sorta di pulizia articolare in artroscopia: si sistemano i menischi e si asportano i corpi mobili (frammenti cartilaginei che vagano liberi in articolazione)
·         Tecniche di stimolazione midollare
o   Sempre mediante artroscopia si può cercare di far sanguinare l’O.S. (spesso sclerotico), “pungendolo”, e quindi favorendo l’arrivo di cellule mesenchimali. Artroscopicamente, quindi, si gratta l’O.S. fino al raggiungimento dei primi capillari. Una volta raggiunto il livello giusto (appena sanguina) ci si ferma
o   Per facilitare il processo si può apporre al di sopra della lesione sanguinante una membrana semipermeabile che impedisca al coagulo ed alle cellule mesenchimali di scivolare via (membrane di tanti tipi, ad esempio di collagene, acido ialuronico ecc): si regolarizza quindi la lesione, la si riempie con della carta stagnola che fungerà da stampo per la membrana, si rimuove la stagnola e si ritaglia perfettamente la membrana semipermeabile. A questo punto si inserisce la membrana all’interno della lesione e la si incolla con colla di fibrina (ottenuta dal plasma del paziente). Si mette poi a riposo l’articolazione (scarico per 6-8 settimane, il tempo necessario alla maturazione del neotessuto)
·         Auto-innesti o allo-innesti osteocondrali (sostanzialmente tappando il buco)
o   Autoinnesto: si regolarizza il difetto e si inserisce un trapianto cartilagineo prelevato dal paziente stesso
o   Alloinnesto: si regolarizza il difetto, si prepara il tassello prelevato da donatore e lo si inserisce nella lesione
·         Mosaicoplastica (OATS)
o   Si tratta sempre di un autoinnesto ma particolare: si prelevano dei tasselli da una regione articolare non di carico (ad esempio dall’articolazione femoro-rotulea nel caso del ginocchio) e li si inseriscono nella lesione fino a riempirla
·         Trapianti di condrociti
o   Si preleva una porzione di tessuto cartilagineo del paziente, lo si coltiva in laboratorio e lo si reinnesta (suturandolo) in un secondo momento
·         Scaffold
o   Si tratta di costrutti ingegnerizzati indicati nel caso di lesioni ampie anche dell’O.S. come alternativa agli innesti; possono essere mono o bifasici (parte ossea + cartilaginea) con o senza aggiunta di fattori di crescita. Sostanzialmente si tratta di strutture porose introdotte nella lesione che verranno poi abitate e sostituite da cellule del paziente
§  Matrice di collagene + cellule mesenchimali midollari + TGF-ß
§  Matrice di agarose + condrociti + FGF
§  Matrice fibrinica + condrociti + IGF
§  Matrice di polilattato + cellule del pericondrio + TGF-ß1
·         Correzione dei difetti predisponenti
o   Un menisco rotto, in un giovane, può essere ricucito (l’integrità meniscale contribuisce al corretto funzionamento articolare fungendo da ammortizzatore)
o   Una lesione del crociato anteriore può essere trattata mediante ricostruzione legamentosa (e conseguente stabilizzazione articolare)
o   Un ginocchio varo può essere corretto mediante osteotomia (di solito si fa solo in soggetti giovani): si seziona medialmente la tibia, la si ruota e si stabilizza il divario creato che, con un’immobilizzazione di circa 45 giorni, viene rimpiazzato da tessuto osseo neodeposto
·         Artroprotesi

o   Si sostituiscono i capi articolari con protesi sintetiche. Tutte le protesi sono tuttavia soggette a usura (vita media di 20 anni circa)

Osteoporosi

Malattia scheletrica sistemica (l’osteoporosi classica colpisce tutto lo scheletro; esistono anche forme localizzate ma non è quello che si intende con l’osteoporosi genericamente detta) caratterizzata dalla perdita di massa ossea e dalla distruzione della microarchitettura del tessuto osseo con aumento della fragilità dell’osso e della tendenza alle fratture.
Si tratta di una malattia molto frequente che spesso progredisce senza alcun sintomo sino alla frattura.

Epidemiologia: si stima che 1 donna su 3 dopo i 50 anni andrà incontro ad un crollo vertebrale.  L’osteoporosi è più frequente nelle donne bianche (gradiente nord-sud) ed asiatiche >50 anni, probabilmente sia per fattori genetici che per fattori ambientali (es esposizione solare). La tendenza all’invecchiamento della popolazione generale rende questa patologia molto rilevante (costo: 14 bilioni di dollari in USA).

Fattori di rischio
·         Sesso femminile (le donne raggiungono un picco di massa ossea minore rispetto agli uomini e la menopausa ne causa una riduzione marcata)
·         Taglia corporea minuta (probabilmente per ridotto stimolo meccanico)
·         Età avanzata
·         Familiarità per osteoporosi
·         Menopausa precoce
·         Dieta povera di calcio
·         Uso giornaliero di alcuni farmaci (steroidi, anticonvulsivanti, ormoni tiroidei, antiblastici)
·         Bassi livelli di testosterone (negli uomini)
·         Vita sedentaria
·         Fumo di sigaretta
·         Abuso di alcool
·         Malassorbimenti

Scolasticamente l’osteoporosi si può classificare in:
·         Primaria
o   Postmenopausale
§  Avviene subito dopo la menopausa o nei 10 anni successivi (55-70 anni)
o   Senile
§  >70 anni nella donna, >80 anni nell’uomo (il rapporto maschio-femmina tende a tornare 1:1)
·         Secondaria a cause
o   Endocrine: iperparatiroidismo, ipertiroidismo, ipercorticismo (Cushing), amenorrea
o   Gastroenterologiche: gastrectomia, morbo di Crohn, malattia celiaca
o   Ematologiche: mieloma, linfoma, leucemia
o   Reumatiche: artrite reumatoide
o   Iatrogene: farmaci (es terapia prolungata con steroidi)
o   Malnutrizione (nei soggetti anoressici le ossa sono molto fragili)
o   Malattie genetiche: ipofosfatasia dell’adulto, malattie del collagene, malattie del metabolismo degli amminoacidi

Fisiologia
Le ossa hanno un ruolo fondamentale nell’organismo:
·         Costituiscono la struttura portante
·         Proteggono gli organi interni
·         Sono una riserva di minerali tra cui il calcio

Tipi di osso:
·         Corticale o compatto: osso molto denso che si trova soprattutto nella diafisi delle ossa lunghe
·         Trabecolare o spugnoso: osso meno denso costituito da lamelle che formano trabecole orientate nelle varie dimensioni dello spazio (si trova soprattutto a livello delle epifisi)

L’osteone è l’unità elementare del tessuto osseo ed è composto da strati concentrici di lamelle ossee. Nel tessuto compatto gli osteoni saranno quindi fittamente stipati; nel tessuto spugnoso saranno invece disposti a costituire le trabecole. L’osteone è composto da strati concentrici di lamelle ossee, da un canale centrale contenente il vaso sanguigno e da canali laterali che contengono altri tipi di vasi.
Nell’osteone agiscono osteoclasti, osteoblasti ed osteociti.
·         Osteoclasto: cellula polinucleata che, attraverso la formazione di lacune ossee, determina il riassorbimento osseo (produce una fosfatasi acida che degrada l’osso liberando sali di calcio e frammenti di collagene tra cui l’idrossiprolina)
·         Osteoblasto: piccola cellula che depone nuova matrice ossea (che tende progressivamente a calcificarsi) e produce fosfatasi alcalina e osteocalcina (stimolano la calcificazione ossea)
·         Osteocita: cellula in quiescenza inglobata nelle lacune ossee connessa sia agli osteoclasti sia agli osteoblasti

Rimodellamento osseo: l’osso si crea e si distrugge in continuazione (non è un organo statico!). In caso di rimodellamento fisiologico, la prima fase di quiescenza è seguita da attivazione osteoclastica (gli osteoclasti rimangono attivi per 8 giorni) e poi dalla fase di inversione caratterizzata dall’attivazione degli osteoblasti.
Le fasi di degradazione, riassorbimento e deposizione avvengono in punti differenti dell’osteone.

C’è una certa differenza tra modellamento e rimodellamento. All’inizio della nostra vita, fino al raggiungimento del picco massimo (il cosiddetto picco di massa ossea), la massa ossea aumenta progressivamente (modellamento). Una volta raggiunto il picco si verifica quindi una fase di stasi, seguita poi da una lenta riduzione della massa ossea negli anni.
Sulla massa ossea e, quindi, sul raggiungimento del picco di massa ossea, influiscono fattori genetici ed ambientali. Dal punto di vista del rischio di osteoporosi, una persona che raggiunge un picco di massa ossea più alto è ovviamente favorito rispetto ad una che ha raggiunto un picco minore.
Per gli uomini, se non intervengono fattori secondari, la riduzione della massa ossea è legata solamente all’età. Per le donne, invece, c’è un’importante componente ormonale: con la menopausa, infatti, la massa ossea subisce un picco in riduzione (se non si interviene farmacologicamente e spesso anche indipendentemente dall’intervento farmacologico).

Patogenesi
·         Come effetto dell’invecchiamento il riassorbimento osseo diventa superiore alla formazione di osso (in situazioni fisiologiche, invece, le due fasi si bilanciano)
·         Questo fenomeno aumenta subito dopo la menopausa. Gli estrogeni infatti hanno un effetto protettivo sull’osso

Dal punto di vista anatomico una diminuzione della massa ossea è correlata con lo sviluppo di un osseo osteoporotico: riduzione della densità lamellare e delle loro dimensioni (soprattutto a livello di quelle porzioni che sono meno sottoposte a carico) e riduzione dello spessore dell’osso corticale (nelle ossa compatte).

Nell’osteoporosi senile si riduce l’assorbimento di calcio con conseguente aumento del paratormone e, quindi, riduzione dell’attività osteoblastica ed aumento di quella osteoclastica. Spesso è presente un iperparatiroidismo secondario (per carenza di vitamina D).

Nell’osteoporosi postmenopausale il calo di estrogeni determina un aumento dell’attività osteoclastica maggiore rispetto all’aumento dell’attività osteoblastica.

Aspetti clinici
·         Dolore al rachide dorso lombare (meno frequentemente ad altri distretti)
·         Deformità del rachide (l’anziano con osteoporosi negli anni va incontro a deformazione dei corpi vertebrali che porta, col tempo, ad una riduzione della sua statura)
·         Fratture multiple (la frattura spesso è il primo campanello di allarme)

Esistono sedi anatomiche preferenziali (soprattutto le prime tre) per quanto riguarda le fratture da fragilità (fratture da osteoporosi):
·         Vertebre
·         Collo del femore
·         Polso
·         Clavicola
·         Omero (estremo prossimale)
·         Bacino
·         Tibia (piatto tibiale)

Una volta verificatasi la frattura sono però ridotte le possibilità terapeutiche. Ma è possibile eseguire una diagnosi di osteoporosi prima che si manifestino le complicanze scheletriche?
Oggi è possibile misurare quantitativamente la massa ossea con delle metodiche routinarie; non è ancora possibile misurare o valutare la microarchitettura dell’osso con metodiche routinarie (l’osso, oltre ad essere denso, deve avere anche determinate caratteristiche qualitative che ne conferiscano solidità. Nel Paget, ad esempio, l’osso è sclerotico ma molto fragile, esempio pratico per dimostrare che densità non corrisponde automaticamente a resistenza).

Vecchi metodi di diagnosi dell’osteoporosi:
·         RX tradizionale: valutazione qualitativa
o   Tardiva: positiva se si verifica una riduzione di almeno il 30% della massa ossea
o   Imprecisa: influenzata dalla modalità di esecuzione dell’esame (raggi più o meno duri possono influenzare il risultato: a parità di densità ossea, raggi più duri danno un’immagine più radiotrasparente)
o   Generica: non distingue la causa
·         Valutazioni semi-quantitative
o   Indice cortico-diafisario (non si usa più): misura semiquantitativa dello spessore corticale del 2° metacarpale (si faceva una RX dei metacarpali, si misurava lo spessore delle corticali e lo si divideva per lo spessore totale delle diafisi ottenendo un indice). Nell’osteoporosi si riduce il rapporto dello spessore corticale rispetto allo spessore totale
o   Indice di Singh (non si usa più): misura semiquantitativa dei sistemi trabecolari del terzo prossimale del femore (scala di valori da 6 a 1). Si tratta di un indice numerico dato sul giudizio della densità e distribuzione delle trabecole ossee a livello dell’epifisi prossimale de femore (all’RX). In un femore giovane l’epifisi è “piena” di trabecole, man mano che il soggetto invecchia queste si rarefanno (a partire da quelle meno sottoposte a carico). Il femore prossimale è caratterizzato da una distribuzione trabecolare particolare: le trabecole si distribuiscono lungo le linee di carico disponendosi in fasci. Fascio cefalico, trocanterico ed arciforme delimitano il triangolo di Ward, area molto ricca di vasi e povera di trabecole
o   Indice di biconcavità del corpo vertebrale (si utilizza ancora in certe situazioni): consiste in una RX de rachide in proiezione laterale con valutazione dell’avvallamento delle limitanti somatiche. Si valuta quindi il rapporto tra altezza del corpo vertebrale nella parte centrale rispetto alla parte anteriore e/o posteriore e si assegna un punteggio (da 0 per un corpo vertebrale normale a 4 per un crollo vertebrale completo)
o   Indice di Meunier: somma dei punteggi di deformità vertebrale (indice di biconcavità) di ogni singola vertebra da D3 a L5

Moderni metodi di valutazione quantitativa della massa ossea (mineralometrie):
·         SPA (Single Photon Absorptiometry)
o   Nella mineralometria a singolo raggio fotonico si utilizza una sorgente di iodio radioattivo per misurare il contenuto minerale del radio al terzo medio distale ed ultradistale (il raggio fotonico passa attraverso l’osso che lo attenua)
·         DEXA (Dual Energy X-ray Absorptiometry)
o   Nella mineralometria a doppio raggio X (sistema più utilizzato) un fascio collimato di raggi X (calibrato a seconda della sede) viene fatto passare attraverso il paziente (espone solo ad 1/10 dei raggi di una RX della mano). Si misura quindi l’attenuazione del raggio dopo il passaggio nell’organismo. Nella pratica clinica si può misurare il contenuto minerale sia a livello vertebrale sia a livello del femore prossimale (il risultato dovrebbe essere più o meno concordante nei due distretti). Solitamente si cerca di evitare situazioni in cui la misura può essere alterata in modo artefattuale: una persona molto grassa, con addome molto rappresentato, attenua molto i raggi e sovrastima l’osteoporosi del rachide; una frattura vertebrale può presentare un aumento paradosso della massa ossea vertebrale (la vertebra si schiaccia e, paradossalmente, tutta la massa ossea va a distribuirsi in un volume minore) così come un osteofita. In caso di un crollo vertebrale quindi, è importante escludere dalla misurazione la vertebra danneggiata
o   La valutazione si fa mediante
§  T-score
v  Confronto con giovani adulti (25-30 anni) sani dello stesso sesso e razza
v  Osteopenia per -1,0 < T-score > -2,5 ds
v  Osteoporosi per T-score < 2,5 ds
§  Z-score
v  Confronto con soggetti sani di pari sesso, razza ed età
·         QCT (Quantitative Computed Tomograpphy)
o   Si tratta di una metodica costosa che non può essere utilizzata per screening o per seguire nel tempo il paziente (anche perché espone a molti raggi essendo una TC ossea)
·         US (Ultrasound Scan)
o   Si basa sulla variazione di velocità del fascio ultrasonoro durante l’attraversamento dell’organismo. Si effettua mediante strumenti poco costosi (sono le macchinette che ci sono in farmacia) e, quindi, può essere utilizzato come screening di massa (non espone a radiazioni ionizzanti). In realtà però, non sempre i risultati sono concordi con quelli della DEXA (la US potrebbe essere influenzata dalla conformazione tridimensionale dell’osso e non solo dalla densità ossea)
·         Biopsia ossea
o   Esame istologico diretto del tessuto osseo. Essendo una metodica invasiva viene riservata solamente a casi particolari che necessitano di studi approfonditi

Diagnosi: metodi biochimici
·         Oggi è possibile studiare il metabolismo osseo ed il rimodellamento osseo dal punto di vista biochimico con esami routinari. Questo consente di effettuare una valutazione più rapida (con una MOC sarebbero necessari almeno 3-4 misurazioni che corrispondono a circa 5-10 anni di valutazioni) del tournover osseo del paziente. Gli ormoni coinvolti nel metabolismo osseo ed i markers del metabolismo osseo possono quindi essere studiati con un semplice prelievo ematico
o   PTH
o   Vitamina D
o   Fosfatasi alcalina ossea
o   Osteocalcina
o   Idrossiprolina urinaria

Conseguenze dell’osteoporosi: le fratture
·         Vertebrale
o   Le fratture vertebrali osteoporotiche tipiche sono fratture del corpo. Queste possono essere cuneizzazioni (la porzione posteriore è più resistente di quella anteriore che quindi viene schiacciata prima) o avvallamenti (se è coinvolto solo il piatto inferiore la deformazione è detta concava, se sono coinvolti sia il piatto superiore che quello inferiore la deformazione è quella classica a lente biconcava)
§  Terapia conservativa (in caso di frattura osteoporotica è la scelta principale): riposo (10-15 giorni a letto) + terapia antidolorifica + iperestensione della colonna (per contrastare la cifotizzazione che deriva dallo schiacciamento vertebrale) mediante corsetti a tre punti (hanno tre prese: una sul bacino, una sullo sterno/spalle ed una posteriore. Le tre prese devono essere posizionate bene: devono spingere indietro sul bacino e sulle spalle ed in avanti nel punto della vertebra fratturata) prima e corsetti semirigidi poi (questo procedimento è quello seguito in caso di fratture lombari; in caso di fratture dorsali bisogna invece utilizzare corsetti con una maggior presa a livello delle spalle come il corsetto tipo Taylor o tipo spinomed)
§  Terapia chirurgica (usata raramente in caso di frattura da osteoporosi, molto più frequentemente nelle fratture traumatiche del giovane): cifoplastica e vertebroplastica sono sistemi invasivi che permettono di iniettare del cemento a livello vertebrale riducendo immediatamente la frattura (che altrimenti tenderebbe a cedere sempre di più nei tre mesi successivi) ed il dolore. In caso di vertebroplastica sotto controllo radiografico si entra con degli aghi dai peduncoli evitando il canale spinale e si raggiunge il corpo vertebrale dove si inietta direttamente il cemento; in caso di cifoplastica, una volta raggiunto il corpo vertebrale, si gonfiano dei palloncini all’interno del corpo stesso creando una cavità vuota all’interno della quale, una volta sgonfiato il palloncino, si inietta il cemento. Il problema di questi interventi riguardano il materiale; una palla di cemento a livello vertebrale non è infatti il massimo dal punto di vista meccanico. Si sta cercando di utilizzare cementi riabitabili da tessuto osseo ma, per ora, con scarsi risultati (o il cemento non viene riabitato dall’osso o, in caso venga riabitato, il tessuto osseo neoformato non fa subito presa sul tessuto osseo circostante)
·         Collo del femore
o   Le fratture del collo del femore sono distinte grossolanamente in mediali e laterali (alla vascolarizzazione terminale della testa del femore che avviene in senso disto-prossimale)
§  Terapia chirurgica: artroprotesi (protesi articolare completa, ossia acetabolare + testa femorale) o endoprotesi (protesi della testa femorale senza sostituzione acetabolare) nelle fratture sottocapitate e mediocervicali (fanno eccezione le fratture poco scomposte o ingranate in quanto la vascolarizzazione della testa del femore potrebbe non essere così danneggiata e si può pensare di fare una riduzione con sintesi mediante vite-placca). Le fratture basicervicali, pertrocanteriche e sottotrocanteriche (fratture laterali che non danneggiano la circolazione terminale) permettono di fare una riduzione-sintesi mediante vite-placca o mediante un infibulo (chiodo endomidollare che viene infisso dall’apice trocanterico lungo l’asse diafisario e viene fissato a livello della testa del femore)
·         Frattura di Colles
o   È una frattura del polso (epifisi distale del radio con coinvolgimento, spesso, della stiloide ulnare) tipica della persona che cade in avanti proteggendosi con le mani. Si verifica una frattura con deviazione dorsale della faccetta articolare del radio (la faccetta articolare del radio, normalmente, è inclinata ventralmente di circa 15° rispetto all’asse longitudinale radiale) e deviazione radiale (l’epifisi distale del radio si incassa). Per ridurre questa frattura bisogna quindi ulnarizzare e flettere il polso e poi applicare un gesso (per mantenere la riduzione bisogna modellare bene il gesso e bloccare anche le articolazioni a monte ed a valle del polso) per circa 35 giorni (dopo 10 giorni si fa una RX di controllo sotto gesso per verificare che la frattura non stia perdendo di riduzione). In casi complessi si può effettuare una riduzione e sintesi chirurgica con vite-placca
·         Altre fratture: bacino (spesso causate dall’osteomalacia ad esempio in pazienti che assumono litio), coste e collo omerale

Prevenire e trattare l’osteoporosi
·         Esercizio fisico regolare
·         Corretto apporto di calcio e vitamina D (importante esporsi al sole)
·         Sottoporsi a mineralometria ossea
·         Evitare fumo ed eccessi alcolici
·         Ridurre il rischio di caduta (e quindi di frattura) eliminando i pericoli domestici, migliorando l’equilibrio e la forza muscolare
·         Terapia ormonale sostitutiva con estrogeni (si fa soprattutto nell’osteoporosi postmenopausale)
·         Bifosfonati (riducono il tournover osseo): alendronato, risedronato, neridronato, clodronato
·         SERMs (Selective estrogen receptor modulators): Raloxifene
·         Calcitonina (è stato il primo farmaco utilizzato nell’osteoporosi, oggi molto meno)

Farmaci in studio
·         Bifosfonati
·         SERMs
·         Paratormone
·         Fluoruri
·         Farmaci biologici (utilizzati solo in centri specializzati perché molto costosi)





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