Dopo
l’osteoporosi è l’osteopatia più frequente nei paesi occidentali. È più
frequente nel maschio e la prevalenza aumenta con l’età (è intorno all’1,5%
sopra i 55 anni). Esistono vari fattori di rischio sia genetici che ambientali
(infezioni da paramixovirus).
La
caratteristica principale di questa patologia è l’aumento del riassorbimento
osseo (l’attività osteoclastica, stimolata dall’iperproduzione di IL-6, aumenta
notevolmente), seguito da un incremento compensatorio della sintesi (ricambio
osseo anche 20 volte superiore alla norma). La patologia è caratterizzata da
tre fasi:
·
Fase osteoporotica (o osteolitica o
distruttiva): predomina il riassorbimento.
·
Fase mista: riassorbimento e deposizione
coesistono, ma il tessuto osseo neoformato viene depositato in modo casuale
conferendo un aspetto “a mosaico” all’architettura ossea.
·
Fase osteoblastica (o sclerotica):
predomina la deposizione di osso (che tuttavia è scarsamente vascolarizzato).
A
livello clinico molto pazienti sono asintomatici e la diagnosi viene posta in
maniera occasionale. Altri presentano dolore osseo (è il sintomo più frequente,
solitamente di intensità moderata, non relazionato ai movimenti e talvolta
accompagnato a deformità locali), deformazioni o tumefazioni delle estremità,
dismetria degli arti (con difficoltà a camminare), cefalea, dolore facciale, lombalgia,
dolore all’anca (può simulare un’artropatia degenerativa), ipoacusia (dovuta
all’interessamento della catena degli ossicini o alla compressione dell’VIII
paio nell’orifizio uditivo interno).
La
diagnosi si basa su reperti radiologici e di laboratorio. Le indagini
bioumorali non mostrano alterazioni dell’emocromo o della VES. Sono invece
elevati i parametri sia di osteosintesi (fosfatasi alcalina, osteocalcina,
procollagene) che di riassorbimento osseo (idrossiprolina, fosfatasi acida,
piridolina, deossipiridolina e telopeptide). La fosfatasi alcalina è,
attualmente, anche il marker più importante per la risposta al trattamento
(oltre che per la diagnosi).
L’Rx
tradizionale mostra una caratteristica quasi costante, l’aumento locale delle
dimensioni ossee, secondario alla formazione di osso corticale sub-periostale, la
coesistenza di aree litiche e blastiche oltre che eventuali deformazioni più o
meno evidenti. La struttura più colpita risulta essere la pelvi, seguita dalla
colonna lombosacrale e dorsale (vertebre “a cornice”, “vertebra di avorio”), femore
(femore “a pastorale”), cranio (aspetto di condensazione cotonosa), tibia
(tibia “a sciabola”), coste e clavicola.
L’estensione
della patologia può essere studiata anche mediante scintigrafia ossea.
Le
complicanze comprendono l’aumento della gittata cardiaca con possibile
insufficienza in caso di interessamento di 1/3 o più dello scheletro (aumenta
la vascolarizzazione a livello osseo, quindi il ritorno venoso), fratture
patologiche, artropatia per vicinanza, sindromi neurologiche compressive,
calcolosi urinaria (secondaria ad ipercalciuria), maggior incidenza di iperuricemia/gotta
e sarcoma (compare nell’1% dei pazienti).
Il
trattamento non è indicato se la patologia è localizzata e asintomatica (anche
se si tendono comunque a trattare i pazienti con alta attività clinica
evidenziabile mediante il riscontro di un importante innalzamento dei valori di
ALP o di immagini fortemente suggestive al fine di evitare lo sviluppo di
complicanze). Qualora fosse necessario il trattamento, il farmaco di scelta è
lo zolendronato (appartenente alla classe dei bifosfonati) in
monosomministrazione annuale per via endovenosa. La fosfatasi alcalina è il
parametro di elezione per il follow-up della risposta al trattamento e viene
definita risposta terapeutica una diminuzione di almeno il 75% del valore
iniziale.
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