Condropatie

Le condropatie sono patologie che coinvolgono la cartilagine (la degenerazione della cartilagine porta all’artrosi, la patologia in assoluto più frequente in ortopedia).
Le articolazioni sono suddivise in sinartrosi e diartrosi.
L’articolazione sinoviale (diartrosi) è un organo vero e proprio, ossia un insieme di tessuti strutturati e organizzati. È una struttura altamente ingegnerizzata in grado di garantire movimenti complessi (spesso su più piani dello spazio), regolabili con precisione e ripetibili milioni di volte (anche a carico diverso). Perché questo accada, l’attrito tra i due capi articolari, deve essere bassissimo. Per queste caratteristiche di complessità e precisione, l’articolazione è meccanicamente ineguagliata.
Le tre componenti principali dell’articolazione sinoviale sono:
·         Cartilagine
·         Membrana sinoviale
·         Liquido sinoviale

Le estremità ossee delle articolazioni sinoviali dei mammiferi sono ricoperte di uno strato di cartilagine ialina che consente congruenza tra o due opposti elementi scheletrici, facilita il trasferimento delle forze tra essi, permette un movimento reciproco praticamente senza attrito e agisce come ammortizzatore dei carichi meccanici.

La cartilagine articolare ha caratteristiche macroscopiche molto evidenti: è bianca-azzurrina con aspetto translucido, liscio e compatto.
Le cartilagini hanno caratteristiche diverse tra le diverse articolazioni o all’interno della stessa articolazione (a seconda del carico che devono sostenere):
·         Spessore (da 6-7 mm nel giovane a 1-2 mm nell’anziano)
·         Densità cellulare
·         Composizione della matrice
·         Proprietà meccaniche

Caratteristica unica della cartilagine ialina (quella delle articolazioni sinoviali), è quella di essere priva di vasi sanguigni e linfatici e di essere priva di nervi (un’alterazione cartilaginea non provoca direttamente dolore). Oltre a queste caratteristiche, la cartilagine ialina è inoltre dotata di elevata resilienza, elevata resistenza in compressione (le forze di taglio, invece, possono maggiormente fare dei danni) e basso potenziale rigenerativo (dovuto anche all’assente vascolarizzazione).
La resilienza del tessuto cartilagineo è ben visibile artroscopicamente con un palpatore (si schiaccia il tessuto il quale, successivamente, torna alla posizione originale).

La cartilagine articolare quindi
·         Sopporta e distribuisce il carico meccanico
·         Assorbe gli urti
·         Riduce al minimo le frizioni
·         Consente un movimento armonico e a basso attrito

La cartilagine articolare è composta da
·         Acqua (60-80% del peso)
·         Cellule: condrociti (2-10%)
·         Matrice extracellulare (20-25%)
o   Collagene
§  Disposto ad “archi”, si ancora ad una componente cartilaginea simile all’osso (zona calcifica)
o   Acido ialuronico
o   Proteoglicani (simili ma più complicati e specializzati dell’acido ialuronico)
o   Altro (proteine non collageniche e lipidi)

La strutturazione molecolare della cartilagine è suddivisibile in 4 strati principali:
·         Zona superficiale (tangenziale o zona 1)
o   Alta densità di fasci collagene paralleli alla superficie articolare (questa disposizione consente alla cartilagine di resistere alle forze tangenziali)
o   Condrociti piatti e ordinati secondo le fibre
o   Meno proteoglicani
o   Alta concentrazione di acqua (85%)
·         Zona intermedia (transizionale o zona 2)
o   Minore densità
o   Fasci collagene obliqui
o   Condrociti rotondi disposti in modo disordinato
o   Elevata concentrazione di proteoglicani
·         Zona profonda (radiale o zona 3)
o   Larghe fibre collagene perpendicolari
o   Condrociti rotondi disposti in colonne
o   Massima concentrazione di proteoglicani
o   Meno acqua
·         Zona calcifica (radiale o zona 4)
o   Fasci collagene radiali
o   Condrociti rotondi immersi nella matrice calcificata (producono collagene X e fosfatasi alcalina)
o   Elevata concentrazione di sali di calcio e bassa di proteoglicani
Il passaggio tra zona profonda e cartilagine calcifica è segnata dalla tidemark (linea di marea), sottile linea basofila al di sotto del quale si incominciano a trovare i vasi sanguigni (importante dal punto di vista chirurgico). Al di sotto della cartilagine calcifica c’è l’osso (molto compatto, per fornire una base d’appoggio al tessuto cartilagineo).

condrociti sono l’unica popolazione cellulare, altamente specializzata, di forma ovoidale o sferoidale. Essi sono accolti in piccoli spazi (lacune), ed hanno disposizione singola o in piccoli gruppi (isogeni). I condrociti sintetizzano e assemblano i componenti della matrice extra-cellulare (proteoglicani e collagene) e ne guidano la distribuzione mantenendo l’omeostasi del tessuto (“distruggono il vecchio per formare il nuovo”).
Hanno caratteristiche molto particolari perché lavorano in condizioni di ipossia (saturazione media del 2-10%) e rispondono sia a stimoli chimici (fattori di crescita, citochine, pH) sia, soprattutto, a stimoli fisici (carico, variazioni della pressione idrostatica). Stimoli meccanici infatti, deformando lievemente le fibre collagene, vengono trasmesse al citoscheletro dei condrociti per il tramite di proteine quali ad esempio la vinculina e la ancorina.

Lo stimolo meccanico è anabolizzante (deposizione di matrice), l’assenza di stimolo porta invece ad atrofia (le articolazioni sono fatte per essere mosse! L’immobilizzazione porta ad atrofia!).

Il collagene rappresenta il 10-20% del peso umido e consente una resistenza alla compressione e alle forze di taglio. A livello cartilagineo il collagene è rappresentato, nel 90-95% dei casi, da collagene di tipo II (il tipo VI aumenta nelle fasi iniziali dell’artrosi; il tipo X è associato alla calcificazione della cartilagine come in caso di cartilagine di accrescimento, fratture, tumori calcificanti). L’assemblaggio (idrossilazione) del collagene richiede la presenza di vitamina C (i nuovi farmaci condroprotettori presentano infatti, tra i loro componenti, la vitamina C). Il catabolismo del collagene invecchiato avviene invece (i meccanismi non sono però chiari) ad opera delle metalloproteasi (quando questo catabolismo è accelerato si va incontro a quadri patologici degenerativi).

L’acido ialuronico (che variamente assemblato con proteine e GAG diventa proteoglicano) appartiene alla famiglia dei glicosamminoglicani (GAG) ed è un elemento cementante della sostanza fondamentale. Esso è composto da lunghe catene disaccaridiche (acido glucuronico + N-acetil-D-glucosammina) e funge da lubrificante del liquido sinoviale, ma non solo. Ha infatti una doppia funzione: una funzione strutturale quando associato a catene proteiche (quindi come proteoglicano) e non strutturale (lubrificante e idratante) quando liberato nel liquido sinoviale (come catene libere).
I proteoglicani sono costituiti da un asse portante di acido ialuronico e da catene laterali proteiche (core protein) e di GAG (cheratan solfato e coidroitin solfato, i quali sono considerati condroprotettori). Il più noto proteoglicano della cartilagine è l’aggrecano.

Per quanto riguarda i proteoglicani, il meccanismo di controllo della loro sintesi è molto sensibile a stimoli biochimici e fisici (lesioni, artrosi, anti-infiammatori ecc):
·         L’immobilizzazione li riduce
·         La fase catabolica sembra essere influenzata dall’IL-1
  • Le catene di GAG sono riversate nel liquido sinoviale durante la degradazione (si ipotizza quindi che i GAG potrebbero essere utilizzati come markers diagnostici precoci ad esempio dell’artrosi, dato che inizialmente il paziente, non essendo la cartilagine innervata, non sente dolore)
Essi sono dei complessi altamente idrofili grazie soprattutto alle cariche negative di condroitin solfato e cheratan solfato. Per questo motivo, i GAG tendono a richiamare acqua (la pressione dell’acqua è bilanciata dalla tenuta delle fibre collagene strettamente ancorate alla cartilagine calcifica), in fase di scarico, la quale può poi essere espulsa in fase di carico (fungendo da ammortizzatore).

L’acqua è il costituente principale della cartilagine dal punto di vista volumetrico:
·         Il gradiente ionico è regolato e mantenuto dai condrociti (il “movimento” dei liquidi è un meccanismo fondamentale per il mantenimento trofico del tessuto collagenico che, come già detto, non è vascolarizzato)
·         L’idratazione dei proteoglicani è limitata dalle fibre collagene
·         Le fibre collagene sono essenziali per il mantenimento della forma
·         Il differente contenuto di acqua nei diversi strati (e la differente distribuzione delle fibre collagene) è funzionale ai requisiti di elasticità e resistenza in condizione di carico meccanico
·         Il collagene garantisce la deformazione elastica con ritorno, in pochi centesimi di secondo, alla condizione di pre-carico

Da un punto di vista biomeccanico, il tessuto cartilagineo presenta una grande capacità di assorbire treni di onde meccaniche, anche molto frequenti, grazie ad una deformabilità (elastica, non plastica) del 6-20%. È un tessuto soggetto a molti tipi di carichi meccanici, sia statici sia dinamici
·         La capacità di resistere a questi stimoli dipende dall’integrità strutturale della matrice EC
o   Collagene: resiste a forze tensili e di taglio
o   GAG: resistono alla compressione e al passaggio dei fluidi
Il carico statico, entro limiti fisiologici, determina un’inibizione temporanea della sintesi della matrice; il carico ciclico (quindi carico-scarico), invece, stimola la sintesi proteica. L’immobilizzazione o lo scarico determinano un’inibizione della sintesi dei proteoglicani e, quindi, a condromalacia (primo stadio della sofferenza della cartilagine).
Il dolore al movimento e/o al carico non origina dalla cartilagine, ma dall’osso subcondrale o dai tessuti molli articolari (che, a differenza del tessuto cartilagineo, possiedono nocicettori)!

Dal punto di vista microscopico e macroscopico, l’invecchiamento comporta:
·         Condrociti ipertrofici
·         Enzimi lisosomiali aumentati
·         Condroitin solfato: diminuisce il 4, aumenta il 6
·         Cheratan solfato: aumenta (inversione del rapporto con il condroitin solfato)
·         Riduzione della quantità di acqua
·         Riduzione dell’elasticità (e quindi della resilienza)
·         Riduzione dello spessore in toto

Nelle articolazioni sinoviali, la membrana sinoviale
·         Riveste la capsula articolare, tendini e legamenti intra-articolari
·         Produce e riassorbe il liquido sinoviale (sinovia)
o   Per aumentare la capacità di scambio, la superficie, è villosa. I villi sono rivestiti da (pochi) strati (molto sottili) di cellule, le quali sono essenzialmente di 2 tipi: un tipo ha attività macrofagica (tipo A), l’altro ha attività secernente (tipo B). I sinoviociti di tipo A hanno infatti propaggini citoplasmatiche sottili e reticolo endoplasmatico rugoso; sono assimilabili ai macrofagi e possono essere in rapido turnover con i monociti del liquido sinoviale. I sinoviociti di tipo B hanno caratteri strutturali e ultrastrutturali tipici dei fibroblasti e partecipano alla produzione di acido ialuronico (in catene libere) ad alto peso molecolare. Lo strato sottostante a quello cellulare è invece composto da tessuto connettivo lasso

La barriera emato-sinoviale (BES) è costituita da un’ampia rete vascolare della membrana sinoviale          e dalla matrice stromale che la circonda. Essa dializza il plasma e lo trasforma in lubrificante biologico ad alto tenore nutrizionale.
Il liquido sinoviale (sinovia)
·         È presente in quantità modeste (0,5-1 ml nel ginocchio)
·         Ha un’interfaccia di superficie di 50μm
·         Ha funzione lubrificante (svolta da acido ialuronico e lubricina)
·         Assorbe i carichi meccanici (perché le proteine in esso contenute conferiscono al liquido nel quale sono contenute proprietà visco-elastiche)
·         Ha funzione trofica (fornisce ossigeno e nutrienti e rimuove i cataboliti)

L’osso subcondrale (O.S.)
·         Nelle prime fasi della condropatia, l’O.S. va incontro a diverse modifiche
o   Il metabolismo degli osteoblasti è alterato: prima prevale il riassorbimento, poi l’apposizione con sclerosi ossea
o   Nei modelli animali, le alterazioni cartilaginee arrivano ben dopo quelle ossee (molti studiosi pensano comunque che, a livello umano, le alterazioni del tessuto cartilagineo precedano quelle del tessuto osseo)
o   Che cosa innesca il danno condrale è ancora ignoto: alcuni studi indicano che le alterazioni dell’OS precedono e possono essere responsabili del danno condrale (fattori prodotti nell’O.S. penetrerebbero nella cartilagine agendo sui condrociti), altri studi però, affermano che le alterazioni dell’O.S. sono secondarie a quelle condrali
o   In modelli animali di osteoartrosi, l’edema dell’O.S. è associato topograficamente a lesioni condrali
o   La presenza di edema osseo (visibile in RMN) è un forte indicatore di degenerazione articolare

Una delle ipotesi che possa giustificare la degenerazione della cartilagine e/o dell’osso sottostante è lo stress ossidativo. In recenti studi è stata infatti ipotizzata la correlazione tra stress ossidativo, disfunzione endoteliale ed artrosi. L’artrosi è caratterizzata infatti da una degenerazione della cartilagine e, in buona parte, anche dell’osso subcondrale. Uno studio fatto su liquido sinoviale di pazienti artrosici ha dimostrato una marcata riduzione dei livelli di NO. L’ossido nitrico è infatti una sostanza che svolge importanti funzioni, fra le quali: induce vasodilatazione, inibisce l’aggregazione piastrinica, inibisce l’adesione monocitaria, inibisce il rilascio di ROS e induce rilasciamento delle cellule muscolari lisce. Alcuni di queste funzioni potrebbero essere alla base dei processi metabolico-rigenerativi del tessuto osseo-cartilagineo. L’ossido nitrico è prodotto ad opera della NOS, la quale, per funzionare, ha bisogno della L-arginina (coniugata con l’ossigeno ed altri cofattori come NADPH). L’ADMA è un analogo dell’arginina e compete negativamente con questa nell’attivazione della NOS. I ROS sono in grado di inibire gli enzimi responsabili del catabolismo di ADMA, riducendo così la produzione di NOS.

Tipi di lesione cartilaginee:
·         Focali (generalmente da trauma)
o   Difetto ben delimitato
o   In genere causato da un trauma, da osteocondrite dissecante, da osteonecrosi
§  Il trauma è la causa più frequente, più spesso da sport o da incidente stradale: in genere è provocata da una forza di taglio che produce una frattura nella matrice condrale, a volte estesa all’O.S.
·         Di natura degenerativa (generalmente da sovraccarico)
o   Tipicamente mal demarcate
o   In genere sono la conseguenza di un’instabilità legamentosa (in alcune circostanze si verificano microdistorsioni con sensazioni di cedimento che comportano micro o, talvolta macrotraumi, ripetuti), di una lesione meniscale (un menisco frastagliato/irregolare diventa come una specie di cuneo che va ad intaccare la struttura della cartilagine articolare di uno o entrambi i capi articolari), di un difetto di allineamento (ad esempio un ginocchio varo comporta un’alterata distribuzione della forza peso con maggiore sollecitazione della porzione mediale), di una rigidità articolare (se l’escursione articolare o ROM, range of movements, è ridotta, tutte le sollecitazioni gravano solo su una piccola porzione di articolazione), di artrosi (deformità e alterazioni di una cartilagine determinano alterazioni anche nella cartilagine contrapposta). Non si tratta quindi, in genere, di traumi ma di microtraumi ripetuti

Generalmente, quindi, le lesioni focali sono più ristrette ed a prognosi più favorevole. Quando l’articolazione è in carico, infatti, i capi articolari si avvicinano tra loro senza che l’O.S. venga in contatto con la controparte. Quelle degenerative sono invece più ampie e portano, sotto carico, l’O.S. a toccare la cartilagine dell’altro capo articolare (in questo caso del piatto tibiale). Non avendo l’O.S. le stesse caratteristiche (compattezza, levigatezza, elasticità) della cartilagine ialina, si vengono a creare contatti con attrito.

Le lesioni cartilaginee presentano gravi stadi di gravità:
·         Normale
o   Macroscopicamente: cartilagine bianca, lucida, liscia e compatta
o   Microscopicamente: alta concentrazione di proteoglicani
·         Stadio 1, condromalacia
o   Il primo grado di sofferenza a livello cartilagineo è la condromalacia (rammollimento del tessuto). La condromalacia (in caso di immobilizzazione) si presenta macroscopicamente come cartilagine scolorita (meno lucida e con alterazioni di colore), con zone di rammollimento (il palpatore, a livello artroscopico, affonda e non è contrastato da un ritorno elastico) e, a livello microscopico, con rilascio di proteoglicani e trama fibrosa evidenziata (sostanzialmente si formano lacune). Microscopicamente si verifica un rilascio di proteoglicani e si evidenzia la trama fibrosa
·         Stadio 2, fibrillazione
o   Macroscopicamente la cartilagine appare fibrillata con tipico aspetto cotonoso (simile al cotone o al velluto). A livello microscopico, si verifica fissurazione a partenza dallo strato superficiale (le lacune quindi si ampliano e raggiungono la superficie articolare. La perdita di sostanza fondamentale comincia a mettere allo scoperto le fibre collagene che, sottoposte ad un carico al quale non sono abituate a causa dell’alterata matrice, cominciano a sfaldarsi determinando le caratteristiche macroscopiche tipiche dello stadio 2).
·         Stadio 3, ulcerazione
o   Macroscopicamente la cartilagine è fissurata (le lacune si ampliano, raggiungono la superficie e cominciano a fondersi). Microscopicamente le fissurazioni sono estese allo strato profondo ma non raggiungono l’O.S.
·         Stadio 4, esposizione
o   Macroscopicamente l’ulcerazione è così profonda che porta all’esposizione dell’O.S.. Anche microscopicamente le ulcerazioni sono estese fino all’O.S.

Tipicamente, le lesioni più avanzate, presentano nel loro contorno delle lesioni di grado inferiore; ad esempio una lesione di grado 4 è contornata generalmente da una zona di grado 3.
Al di là dei vari stadi di lesione appena menzionati, più semplicisticamente le lesioni possono essere suddivise in base al grado di profondità in:
·         Danno ai condrociti, alla matrice, all’O.S. ma senza interruzioni visibili della superficie articolare
·         Interruzione della superficie articolare, ma limitata alla cartilagine; le lesioni hanno morfologie diverse (fessure, flap, difetti focali)
·         Interruzione della superficie articolare estesa all’osso

A seconda del tipo di lesione si verificano differenti tentativi di riparazione (bisogna ricordare tuttavia che la cartilagine è un tessuto non vascolarizzato e, per questo, non può contare sull’arrivo di cellule mesenchimali riparative in grado di rimpiazzare le cellule perse).
·         Danno a cellule e matrice
o   In genere da impatto (in genere modesto; soglia della forza lesiva non ancora precisata)
o   La lesione è minima e causata da ridotta sintesi o aumentato catabolismo dei proteoglicani
o   Se i condrociti non sono danneggiati (o lo sono in numero esiguo), possono riparare il danno (purché questo non ecceda in volume quello che le cellule sono in grado di produrre in tempi brevi)
o   Se la forza lesiva persiste e/o danneggia i condrociti, si verifica (probabilmente) una reazione metabolica dell’O.S. allo stimolo meccanico con sottrazione di ossigeno alla cartilagine. L’ipossia dei condrociti (che già lavorano a livelli di ipossia) determina il rilascio di ROS che porta ad ossidazione (danno) di collagene, proteoglicani ed acido ialuronico. Questi danni determinano apoptosi condrocitaria e quindi rilascio di fattori pro-infiammatori (IL-1 TNF-α), pro-mitogeni (TGF-β) ed enzimi litici (metallo proteasi). Perdendo materiale, quindi, il tessuto cartilagineo va incontro a riduzione della resistenza e aumento della permeabilità. In questo modo il peso viene distribuito direttamente sul collagene senza la mediazione dei proteoglicani (che per primi risentono di questa condizione e si rarefanno) e senza la protezione delle cellule (che come detto vanno incontro ad apoptosi). Questi meccanismi provocano una degenerazione tissutale progressiva
o   I prodotti di degradazione della matrice extracellulare si riversano nel liquido sinoviale e vengono fagocitati dai macrofagi della membrana sinoviale. Ne deriva una sinovite con ulteriore rilascio di molecole pro-infiammatorie e citolitiche (che a loro volta peggioreranno il danno cartilagineo)
o   A seconda della fase in cui il danno si trova si potrà intervenire farmacologicamente con anaboliti della matrice, antiossidanti e/o antinfiammatori
·         Interruzione della superficie
o   I condrociti vicino alla lesione proliferano (in modo esiguo) e aumentano la sintesi di matrice ma non riescono mai a colmare il difetto. Residua quindi un’incongruenza articolare (una fossetta su una o entrambe le superfici) che aumenta l’attrito. Ne deriva una possibile evoluzione degenerativa in base all’ampiezza, alla profondità e alla sede della lesione (il difetto si amplia ulteriormente). In questo stadio è possibile (molto probabile) un’evoluzione degenerativa in base all’ampiezza, alla profondità e alla sede della lesione (ci sono settori articolari più sollecitati ed atri molto meno)
·         Lesione estesa all’osso (corrisponde al grado 4 della classificazione anatomopatologica che però viene usata anche in medicina, radiologia e chirurgia)
o   La lesione profonda ha una caratteristica fondamentale: arrivando all’O.S. raggiunge zone vascolarizzate (cosa che nelle lesioni più superficiali non avviene). La rottura dei capillari porta a sanguinamento e, quindi, alla formazione di un coagulo (la situazione è più favorevole di quella del grado precedente nel quale il danno, comunque abbastanza esteso, non è correlato a perdita ematica) che facilita la riparazione tissutale: il coagulo costituisce un’impalcatura (riempie il difetto osseo e parte di quello cartilagineo) sulla quale si possono distribuire le cellule mesenchimali fuoriuscite dal circolo. Dal punto di vista biochimico infatti, si verifica rilascio di fattori di crescita (PDGF, TGF-b) con neoangiogenesi, richiamo di cellule mesenchimali, stimolo proliferativo e anabolico. Le cellule mesenchimali fuoriuscite, sotto uno stimolo articolare blando, possono andare incontro a differenziazione condrocitaria sostituendo il tessuto danneggiato. A 2 settimane dalla migrazione infatti, le cellule della matrice assumono forma condroide e producono matrice (collagene tipo I e III). A 6-8 settimane il neo-tessuto somiglia alla cartilagine, anche se è meno ben organizzato ed ha minore resistenza e maggiore permeabilità (salvo rare eccezioni tende a deteriorarsi perché non è in grado di sopportare i carichi come in origine)
o   Uno dei grossi problemi della chirurgia ricostruttiva delle articolazioni è l’incapacità di riprodurre le caratteristiche meccaniche del tessuto di origine: infatti spesso non si riesce a far maturare il nuovo collagene in collagene di tipo II (generalmente il collagene prodotto è infatti di tipo I o di tipo III, ossia quelli tipici dell’osso e del tessuto cicatriziale che, pur essendo meglio del tessuto leso, non possiedono alcune caratteristiche essenziali del tipo II e vanno quindi maggiormente incontro ad usura), ossia quello caratteristico della cartilagine ialina (tenendo l’articolazione in blando carico, come ad esempio nel caso del nuoto o della cyclette, sembra si favorisca la formazione di collagene II). In ogni caso il beneficio indotto dal sanguinamento è sfruttato in terapia per facilitare la riparazione tissutale (tecniche di stimolazione midollare che favoriscono l’afflusso di cellule indifferenziate; necessitano di mantenere in scarico, o meglio in blando carico, l’articolazione per le settimane necessarie alla formazione di neo-tessuto)

La storia naturale di una lesione condrale è sostanzialmente sconosciuta (per la difficoltà di fare una diagnosi precoce e, quindi, di individuare soggetti adatti e seguirli per decenni). In letteratura è presente un solo studio che dimostra che le lesioni condrali, anche se asintomatiche, tendono inesorabilmente a evolvere in senso degenerativo.

Take home message:
·         Le condropatie sono di natura traumatica o degenerativa
·         I piccoli difetti focali possono restare stabili e asintomatici (anche se mancano studi adeguati a riguardo)
·         Le lesioni maggiori (quasi sempre) degenerano progressivamente
·         L’omeostasi della cartilagine è basata su un fragile equilibrio
·         Una volta perso il tessuto cartilagineo è quasi impossibile recuperarlo
·         Il paziente (e il medico) sono inconsapevoli di cosa sta accadendo (difficile diagnosi precoce e prevenzione)
·         Necessità di prevenire il processo degenerativo mediante condroprotezione (ma bisogna quindi effettuare una diagnosi precoce)
·         Indispensabile un miglioramento delle metodiche diagnostiche, sia biochimiche sia di imaging
·         Necessità di una diagnosi precoce e di dati quantitativi per la valutazione oggettiva dei risultati del trattamento (necessario)

Sintomi e segni clinici:
·         Non esiste un sintomo patognomonico (tenendo presente che il dolore è un po’ la caratteristica principale di tutte le affezioni del sistema muscolo-scheletrico)
o   Lesioni piccole possono dare dolore legato all’attività fisica e gonfiore (perché innescano reazioni nei tessuti circostanti, specialmente a livello della membrana sinoviale)
o   Lesioni ampie possono causare scatti articolari (sensazione di scatto dell’articolazione con rumori simili a scricchiolii che si sentono, talvolta, anche da fuori), blocco (se la lesione è sufficientemente profonda si può avere un impuntamento del capo articolare sul bordo della lesione con conseguente blocco articolare che regredisce dopo una serie di piccoli movimenti che permettono una migliore ridistribuzione del liquido sinoviale e, quindi, una migliore lubrificazione dei capi articolari), senso di cedimento (se la lesione è ampia e profonda, il capo articolare opposto può “precipitarci dentro”, anche se per pochissimi mm, ed essere ben avvertito dal paziente)
·         Non esiste un segno patognomonico
o   Gonfiore +/-
o   Articolarità di solito completa
o   Scatto articolare (soprattutto nelle kissing lesions. Le lesioni baciate sono quelle lesioni in cui il danno è egualmente esteso ai due versantii articolari, quasi in modo speculare. Avvenendo il movimento a livello di due superfici egualmente alterate, è più facile che si verifichi lo scatto articolare)
o   Dolorabilità sulle rime articolari +/- (non è un segno patognomonico e compare solo se la membrana sinoviale, o altre strutture periarticolari, è infiammata)

Diagnosi strumentale
·         RX convenzionale
o   Non evidenzia una lesione condrale (ma evidenzia eventuali lesioni ossee sottostanti, indicative spesso di un profondo danno condrale che coinvolge anche l’osso sottostante)
o   Consente di valutare la presenza di condizioni predisponenti come ad esempio presenza di osteoartrosi, difetti ossei, allineamento dell’arto (proiezioni in carico degli arti inferiori). Per queste valutazioni si possono utilizzare alcune proiezioni particolari che consentano di studiare l’articolazione in carico
§  Proiezione di Rosenberg: queste proiezioni vanno a studiare il ginocchio in condizioni di carico particolare, fatte in flessione di 45° per valutare la porzione posteriore dei condili femorali (che in ortostatismo non sarebbero valutabili perché non sollecitate). Nell’immagine sottostante, a sx è riportata una RX in ortostatismo, a dx una RX in proiezione di Rosenberg. La proiezione di Rosenberg consente di evidenziare un difetto della cartilagine posteriore del condilo femorale laterale, visibile come un assottigliamento dello spazio presente tra i due capi articolari
·         RMN
o   Alta definizione (almeno di 1,5 Tesla¸possibilmente 3)
o   Le sequenze in T2 hanno superiore accuratezza diagnostica (mostrano la presenza di edemi ossei, indicativi di sofferenza dell’O.S.)
o   L’obbiettivo è quello di arrivare a nuove metodiche semi-quantitative come la dGEMRIC (delayed gadolinium-enanched MRI for cartilage), in grado di evidenziare la quantità di proteoglicani in vivo
·         TC
o   Scarsamente utile
o   Valuta bene le perdite di sostanza ossea (non cartilaginea!)
o   Consente misure precise dei rapporti ossei (ad esempio nei disordini femoro-rotulei consente di effettuare ricostruzioni tridimensionali e di verificare se la rotula si trova in posizione corretta o tende a scartare, in genere lateralmente; la cosiddetta TT-TG, tuberosità tibiale-solco trocleare o troclear groove)

Trattamento conservativo
·         Misure generali
o   Correzione dei fattori predisponenti (ossia le condizioni che esasperano i carichi sulla zona lesa): sovrappeso (ovviamente per quanto riguarda lesioni articolari degli arti inferiori), difetti di allineamento, rigidità o instabilità articolari, lesioni intra-articolari
o   Abolizione dei carichi meccanici eccessivi e adozione di sollecitazioni “virtuose” (sport a basso impatto, con incremento della flessibilità e dell’elasticità mio-tendinea)
§  Questa accortezza può essere facilmente ottenuta in soggetti sportivi dilettanti (si può dire smetti di correre) ma difficilmente in lavoratori (non si può dire smetti di lavorare)
·         Misure specifiche
o   Cartilagine
§  Anabolizzanti del metabolismo condrocitario
§  Inibitori del catabolismo della matrice extracellulare
§  Antiossidanti
§  Antinfiammatori inibitori dell’IL-1 (ad esempio la diacereina è un condroprotettore molto usato in passato) e del TNF (anticorpi monoclonali)
o   Osso subcondrale (l’osso non è solo imbibito di edema ma presenta anche zone di necrosi, microfratture ed altre alterazioni come ad esempio osteoporosi; il tentativo è quindi anche quello di rinforzare l’O.S. mediante farmaci per il trattamento dell’osteoporosi)
§  Farmaci che riducono l’attività osteoclastica (bifosfonati, anticorpi anti RANKL, calcitonina)
§  Vitmina D
§  Miglioramento del trofismo osseo con stimoli fisici (campi magnetici, onde d’urto) che provocano una risposta anabolica
o   Versante vascolare
§  Fornire substrato per la NOS (e quindi favorire la formazione di NO): arginina o citrullina
§  Aumentare lo smaltimento dell’omocisteina: somministrare vitamina B6 e B12

Trattamento chirurgico
·         Artroscopia con lavaggio e debridement
o   Cercando sempre di essere il meno invasivi possibile, l’artroscopia (si fa scorrere acqua per dilatare l’articolazione e “lavare via” i frammenti) riveste un importante ruolo terapeutico. Il joint debridement (ha risultati modesti nel lungo periodo) consiste sostanzialmente in una sorta di pulizia articolare in artroscopia: si sistemano i menischi e si asportano i corpi mobili (frammenti cartilaginei che vagano liberi in articolazione)
·         Tecniche di stimolazione midollare
o   Sempre mediante artroscopia si può cercare di far sanguinare l’O.S. (spesso sclerotico), “pungendolo”, e quindi favorendo l’arrivo di cellule mesenchimali. Artroscopicamente, quindi, si gratta l’O.S. fino al raggiungimento dei primi capillari. Una volta raggiunto il livello giusto (appena sanguina) ci si ferma
o   Per facilitare il processo si può apporre al di sopra della lesione sanguinante una membrana semipermeabile che impedisca al coagulo ed alle cellule mesenchimali di scivolare via (membrane di tanti tipi, ad esempio di collagene, acido ialuronico ecc): si regolarizza quindi la lesione, la si riempie con della carta stagnola che fungerà da stampo per la membrana, si rimuove la stagnola e si ritaglia perfettamente la membrana semipermeabile. A questo punto si inserisce la membrana all’interno della lesione e la si incolla con colla di fibrina (ottenuta dal plasma del paziente). Si mette poi a riposo l’articolazione (scarico per 6-8 settimane, il tempo necessario alla maturazione del neotessuto)
·         Auto-innesti o allo-innesti osteocondrali (sostanzialmente tappando il buco)
o   Autoinnesto: si regolarizza il difetto e si inserisce un trapianto cartilagineo prelevato dal paziente stesso
o   Alloinnesto: si regolarizza il difetto, si prepara il tassello prelevato da donatore e lo si inserisce nella lesione
·         Mosaicoplastica (OATS)
o   Si tratta sempre di un autoinnesto ma particolare: si prelevano dei tasselli da una regione articolare non di carico (ad esempio dall’articolazione femoro-rotulea nel caso del ginocchio) e li si inseriscono nella lesione fino a riempirla
·         Trapianti di condrociti
o   Si preleva una porzione di tessuto cartilagineo del paziente, lo si coltiva in laboratorio e lo si reinnesta (suturandolo) in un secondo momento
·         Scaffold
o   Si tratta di costrutti ingegnerizzati indicati nel caso di lesioni ampie anche dell’O.S. come alternativa agli innesti; possono essere mono o bifasici (parte ossea + cartilaginea) con o senza aggiunta di fattori di crescita. Sostanzialmente si tratta di strutture porose introdotte nella lesione che verranno poi abitate e sostituite da cellule del paziente
§  Matrice di collagene + cellule mesenchimali midollari + TGF-ß
§  Matrice di agarose + condrociti + FGF
§  Matrice fibrinica + condrociti + IGF
§  Matrice di polilattato + cellule del pericondrio + TGF-ß1
·         Correzione dei difetti predisponenti
o   Un menisco rotto, in un giovane, può essere ricucito (l’integrità meniscale contribuisce al corretto funzionamento articolare fungendo da ammortizzatore)
o   Una lesione del crociato anteriore può essere trattata mediante ricostruzione legamentosa (e conseguente stabilizzazione articolare)
o   Un ginocchio varo può essere corretto mediante osteotomia (di solito si fa solo in soggetti giovani): si seziona medialmente la tibia, la si ruota e si stabilizza il divario creato che, con un’immobilizzazione di circa 45 giorni, viene rimpiazzato da tessuto osseo neodeposto
·         Artroprotesi

o   Si sostituiscono i capi articolari con protesi sintetiche. Tutte le protesi sono tuttavia soggette a usura (vita media di 20 anni circa)

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