Sindromi mielodisplastiche

Le sindromi mielodisplastiche comprendono un gruppo eterogeneo di patologie emopoietiche clonali caratterizzate da una progressiva inefficacia dell’emopoiesi midollare associata ad alterazioni morfologiche (displasia) delle tre linee differenziative mieloidi: mielomonocitica, megacariocitica ed eritroide. L’emopoiesi inefficace, cioè la ridotta capacità di maturazione terminale dei precursori midollari, determina anemia, granulocitopenia e piastrinopenia di grado variabile e progressivamente ingravescente (citopenia periferica), che, associata ad una cellularità normale o addirittura aumentata del midollo, rappresenta la principale caratteristica clinico-ematologica di questo gruppo di patologie. È frequente, ma non sempre presente, un aumento della percentuale di cellule immature (blasti) nel midollo osseo che può esitare, in tempi variabili ma in genere prolungati, nella trasformazione in leucemia mieloide acuta. L’età media alla diagnosi è all’incirca di 70 anni, pertanto la principale causa di morte dei pazienti è costituita dagli effetti dell’insufficienza midollare più che dalla trasformazione leucemica. Nell’insieme, le mielodisplasie sono malattie non frequenti (la frequenza varia molto a seconda delle aree geografiche) in Europa, con un’incidenza di circa 2-12 nuovi casi/anno per 100000 abitanti. Nella maggior parte dei casi la patologia è di tipo primitivo, ma più raramente può essere secondaria a chemioterapia e/o radioterapia. C’è infine da considerare un gruppo di patologie ereditarie dell’emopoiesi (anemia di Fanconi, anemia di Diamond-Blackfan, discheratosi congenita ecc), che determinano gradi variabili di insufficienza midollare con aplasie mono o plurilineari fino a gravi quadri clinico-ematologici di pancitopenia, e che si associano sempre a displasia morfo-funzionale emopoietica, e ad aumentato rischio di evoluzione verso forme di mielodisplasia più gravi ed evoluzione leucemica.

La classificazione FAB distingue tra le sindromi mielodisplastiche primitive:
·         Anemia refrattaria (AR) à meno del 5% di blasti nel midollo e meno dell’1% nel sangue periferico
·         Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ASiA) à più del 15% di sideroblasti ad anello (cellule midollari della serie eritroblastica che accumulano ferro a livello mitocondriale e che sono colorate in modo specifico con la colorazione di Perls)
·         Anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB) à blasti midollari compresi tra il 5 e il 20%
·         Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-T) à blasti midollari compresi tra il 20 e il 30%, possibili blasti nel sangue periferico
·         Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) à incremento dei monociti nel sangue periferico (>1000/mL), associata in alcuni pazienti ad eritropoiesi inefficace, con grave pancitopenia e displasia delle cellule midollari oppure con leucocitosi e splenomegalia (quadro più simile alle sindromi mieloproliferative). In entrambi i casi la percentuale di blasti nel midollo può arrivare al 20-30%

La WHO ha più recentemente introdotto un nuovo schema classificativo nel quale vengono prese in considerazione anche le anomalie cariotipiche delle cellule emopoietiche e l’entità ed il tipo di citopenia. Inoltre, la WHO fissa al 20% la percentuale di blasti nel midollo osseo necessaria a definire la leucemia mieloide acuta. In tal modo, viene a scomparire la AREB-T, inclusa ora nel gruppo delle leucemie mieloidi acute. La LMMC inoltre, viene ora posta in un gruppo di patologie separate con caratteristiche intermedie tra le sindromi mielodisplastiche e quelle mieloproliferative.

L’eziopatogenesi non è ancora completamente conosciuta. Le mielodisplasie sono frequenti nei pazienti anziani e in soggetti esposti a carburanti, al benzene e ad altri solventi con proprietà mutagene, o a radiazioni ionizzanti o al fumo di sigaretta. Il clone mielodisplastico, pur mantenendo la capacità di differenziare in cellule mature, presenta vari difetti nel processo maturativo ed acquisisce un’elevata tendenza ad attivare i processi di apoptosi prima di arrivare alla completa maturazione. Oltre alla precoce ed impropria attivazione dei meccanismi apoptotici, le alterazioni del processo di differenziazione sono responsabili di difetti funzionali (oltre che morfologici) delle cellule della serie mieloide che possono spiegare gli episodi infettivi o quelli emorragici anche in assenza di significative neutropenie o piastrinopenie severe. Il compartimento mielodisplastico midollare è inoltre caratterizzato da un aumentato turnover, ad evidenza di un’aumentata tendenza replicativa delle cellule displastiche che potrebbe sostenete la progressiva espansione del clone milodisplastico a livello midollare a spese del tessuto emopoietico normale. In alcuni casi però, è il sistema immunitario che sembra giocare un ruolo importante nell’espansione del clone mielodisplastico mediante la soppressione selettiva dell’emopoiesi midollare policlonale normale.
Il risultato finale della coesistenza di un aumentato turnover cellulare associato all’elevata tendenza all’apoptosi è il tipico quadro dell’emopoiesi inefficace, cioè la coesistenza, apparentemente paradossale, di citopenia uni o plurilineare nel sangue periferico (anemia associata o meno a granulocitopenia e piastrinopenia) con una cellularità normale o spesso aumentata nel midollo osseo.
È verosimile che l’accumulo progressivo di lesioni genetiche aggiuntive da parte del clone mielodisplastico sia implicato nella progressione del quadro clinico. L’ulteriore acquisizione di difetti molecolari può determinare un’ulteriore spinta alla propensione apoptotica, clininicamente evidente come citopenia ingravescente o, all’opposto, alla riduzione dell’espressione di fattori pro-apoptotici e della tendenza alla apoptosi intramidollare, con prevalenza della tendenza proliferativa nel clone mielodisplastico. In questi casi cellule più immature (blasti) tendono ad accumularsi nel midollo fino all’evoluzione in un quadro di leucemia mieloide acuta vero e proprio.

La diagnosi di sindrome mielodisplastica viene generalmente posta in età avanzata, con l’eccezione delle forme secondarie a trattamento con farmaci antiblastici, in soggetti che presentano anemia, leucopenia o piastrinopenia, o varie combinazioni delle tre condizioni. Tuttavia, almeno nelle fasi iniziali della malattia, sono i segni dell’anemia cronica a risultare predominanti. È frequente, infatti, la diagnosi in pazienti che si presentano con segni di astenia, facile esauribilità e dispnea da sforzo. È tuttavia anche possibile che la diagnosi possa essere posta occasionalmente in soggetti che effettuano un esame emocromocitometrico per altri motivi. La neutropenia viene osservata in più del 50% dei casi, già inizialmente associata all’anemia o come manifestazione a comparsa più tardiva nel corso della malattia. È tuttavia da tener presente che oltre al ridotto numero, i granulociti dei pazienti con mielodisplasia presentano alterazioni funzionali che ne riducono l’efficienza. Nonostante ciò, nel corso della malattia sono osservati episodi ricorrenti di infezione solo in un ridotto numero di pazienti (le patologie infettive ricorrenti rappresentano invece un problema molto più grave nei pazienti con leucemia mielomonocitica cronica. La componente monocitaria in questi pazienti deriva infatti dal clone displastico e presenta deficit funzionali che, in aggiunta a quelli della componente granulocitaria, determinano un elevato incremento del rischio infettivo). Anche la piastrinopenia è piuttosto frequente e si evidenzia in circa il 50% dei casi. Così come nel caso della serie granulocitaria, anche le piastrine possono mostrare deficit funzionali. Ne risulta quindi la possibilità di porpora, ecchimosi, gengivorragia, quasi sempre di lieve entità, anche in pazienti non piastrinopenici. Molto raro è il riscontro di splenomegalia (con l’eccezione dei pazienti con leucemia mielomonocitica cronica che possono presentare splenomegalia anche molto prominente).
La storia naturale delle mielodisplasie è contraddistinta da un aggravamento progressivo più o meno rapido. La principale causa di morte è costituita dagli effetti dell’insufficienza midollare e dalle complicanze multiple che da essa derivano più che dalla trasformazione leucemica.

La diagnosi di sindrome mielodisplastica si basa sulla presenza di citopenia nel sangue periferico, di displasia morfologica nelle cellule del midollo osseo e di segni di eritropoiesi inefficace. È quindi importante in questi pazienti l’attenta valutazione morfologica dello striscio di sangue periferico e dell’agoaspirato midollare.
L’anemia è quasi sempre presente ed è tipicamente macrocitica. Deriva da eritropoiesi inefficace, pertanto i reticolociti, ed in particolare l’indice reticolocitario, sono generalmente ridotti ed i livelli sierici di EPO sono il più delle volte aumentati.
La granulocitopenia si riscontra in più del 50% dei casi e sipossono evidenziare elementi immaturi nel sangue periferico (soprattutto nelle forme più avanzato come le AREB). In generale anche in quei casi in cui non vi sono blasti o granulocitopenia, è frequente osservare displasia morfologica negli elementi granulocitari.
Un numero rilevante di pazienti ha piastrinopenie. Sono anche molto spesso evidenti anomalie di tipo morfologico della piastrinopoiesi con presenza di piastrine giganti e/o granulate, e le anomalie di tipo funzionale tra cui la più frequente è la sindrome di Glanzmann acquisita da carenza della proteina di membrana GPIIb/IIIa.
Il tessuto midollare mostra, all’osservazione citologica, displasie morfologiche a carico delle tre linee emopoietiche ed è sempre ricco di cellule; vi è quindi uno stridente contrasto tra l’anemia e/o la citopenia del sangue periferico con l’abbondanza di cellule nel tessuto midollare, che rappresenta un indice visibile dell’eritropoiesi inefficace ed una caratteristica patognomonica delle mielodisplasie.
Nel 45% dei pazienti affetti da sindromi mielodisplastiche primitive, l’analisi citogenetica consente di dimostrare alterazioni del cariotipo di tipo clonale. Le alterazioni citogenetiche sono molto più frequenti (80% dei casi) nei pazienti con mielodisplasia secondaria a chemioterapia o in evoluzione da un’aplasia midollare di tipo costituzionale.


Il trattamento delle SMD è spesso problematico, in quanto i pazienti sono generalmente anziani (e spesso con comorbidità) e la patogenesi della malattia è molto varia. La terapia è quindi quasi sempre di supporto, mirata al prolungamento della sopravvivenza ed al miglioramento della qualità di vita. Solo nei pazienti più giovani è possibile tentare scelte terapeutiche più aggressive che mirino all’eradicazione del clone mielodisplastico (come il trapianto allogenico di cellule staminali).

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