Malattie mieloproliferative croniche

Con il termine di neoplasie mieloproliferative croniche (MPN) si intendono malattie che originano dalla trasformazione neoplastica della cellula staminale pluripotente, caratterizzate dalla proliferazione clonale di uno o più progenitori emopoietici nel midollo osseo e in sedi extramidollare. Il termine neoplasia è stato recentemente introdotto sostituendo il termine sindrome, proprio per sottolineare l’aspetto clonale e quindi tumorale di tali malattie. Le caratteristiche biologiche, i quadri clinici e la storia naturale variano nelle varie forme che, tuttavia, possono embricarsi e trasformarsi l’una nell’altra durante il decorso della malattia. La leucemia mieloide cronica (LMC) è un disordine mieloproliferativo caratterizzato dalla presenza del cromosoma Philadelphia (Ph), derivante da una traslocazione reciproca tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22, con formazione del gene chimerico bcr-abl. Esistono poi altre tre principali MPN Ph-negative, rappresentate dalla policitemia vera (PV), dalla trombocitemia essenziale (ET) e dalla mielofibrosi idiopatica o con metaplasia mieloide (MFI, MMM).


Leucemia mieloide cronica
La leucemia mieloide cronica rappresenta la più importante fra le neoplasie mieloproliferative croniche. Si tratta di una malattia neoplastica a carico delle cellule staminali pluripotenti ematopoietiche. Essa è caratterizzata dalla proliferazione di cellule contenenti una traslocazione cromosomica 9;22 che genera un cromosoma (22 accorciato) chiamato cromosoma Philadelphia (Ph). Questa malattia aveva, fino all’avvento della terapia con imatinib, un’alta tendenza spontanea ad evolvere, entro 2-3 anni dalla diagnosi, in una forma di leucemia acuta rapidamente fatale.
Per quanto riguarda l’incidenza, la LMC rappresenta attualmente il 20-25% di tutte le leucemie. L’età media alla diagnosi è di 50-55 anni (l’incidenza aumenta lentamente con l’età fino a circa 45 anni quando inizia a salire rapidamente), e solo il 10% dei casi sono diagnosticati in età pediatrica. Risulta leggermente più frequente negli uomini rispetto alle donne.

Per quanto riguarda l’eziologia, l’esposizione a dosi elevate di radiazioni ionizzanti rappresenta una nota causa di LMC. Il periodo di latenza tra esposizione e diagnosi clinica può variare tra 2 e 11 anni. Noti cancerogeni come il benzene e gli agenti alchilanti sono stati significativamente associati a varie forme di leucemia, ma non alla LMC, mentre sono stati segnalati casi di leucemie Ph+ associati a inibitori della topoisomerasi II. L’ereditarietà della LMC è assai debole o assente e non c’è concordanza della malattia in gemelli omozigoti.

Il cromosoma 22 accorciato rappresenta, come già detto, una traslocazione cromosomica sbilanciata 9;22, in cui la porzione carbossi-terminale del gene Abl, localizzato sul cromosoma 9, viene traslocata sul cromosoma 22 e fusa con quella amino terminale del gene Bcr. Questo fenomeno genera il gene ibrido BCR/ABL che codifica per la proteina Bcr/Abl. La proteina Bcr/Abl conserva l’attività tirosino chinasica del gene Abl. Mentre in Abl l’attività è strettamente controllata e presente solo in determinate condizioni, l’attività tirosinchinasica di Bcr/Abl è invece incontrollata e permanentemente presente. Il punto di rottura sul cromosoma 9 cade generalmente in una zona ristretta; al contrario, sul cromosoma 22 sono presenti 3 diversi punti di rottura (o breakpoint cluster regions). Questi tre diversi punti di rottura determinano la fusione di un numero diverso di esoni BCR e pertanto la produzione di diverse proteine Bcr/Abl denominate rispettivamente p210, p185 e p230. La gran parte dei casi di LMC è causata dalla proteina p210. Pochissimi pazienti presentano invece la p185 come forma dominante; questi pazienti hanno in genere un decorso della malattia rapido e aggressivo. La p230 causa infine una rara forma di LMC denominata LMC-neutrofila, con evoluzione estremamente lenta.

Dal punto di vista anatomopatologico il midollo osseo si presenta marcatamente ipercellulare, con il 70-90% del volume midollare occupato da tessuto emopoietico e corrispondente riduzione del tessuto adiposo. La granulopoiesi domina il quadro, con un rapporto ranulocitario/eritroide di 10-30:1 (invece del normale rapporto 2:4). Tranne che nella fase terminale della malattia, non vi è segno di blocco differenziativo e sono evidenti tutti gli stadi maturativi mieloidi, dal blasto al granulocita maturo. L’eritropoiesi di norma è diminuita mentre i megacariociti possono essere normali o aumentati. Sono spesso evidenti segni di displasia quali micromegacariociti e anomalie nella differenziazione degli eritroblasti (asincronie di maturazione, magaloblastosi), anche se assai minori che in casi di mielodisplasia. È spesso presente un’aumentata trama collagenica fino a franca fibrosi midollare, che però a differenza della mielofibrosi idiopatica regredisce una volta instaurata la terapia.

Nel 90% dei pazienti la malattia viene diagnosticata in fase cronica; in circa la metà dei casi la diagnosi è casuale, avviene cioè in assenza di sintomi riferibili alla malattia, ed è dovuta a esami ematochimici effettuati a scopo di controllo, o in previsione di interventi chirurgici. Quando sono presenti, i sintomi sono vaghi e non specifici: astenia, malessere, facile saziabilità (in caso di importante ipersplenismo con conseguente compressione gastrica), febbricola, sudorazione eccessiva. Il segno clinico più frequente è rappresentato dalla splenomegalia, il cui livello può variare dal mero riscontro ecografico alla occupazione della maggior parte della cavità addominale da parte di milze che possono debordare 20-30 cm dall’arcata costale e pesare diversi chilogrammi. In caso di anemia sarà presente pallore. La cute può essere interessata da eruzioni maculonodulari o urticarioidi, associate a iperistaminemia. In caso di leucocitosi estrema (>300000/mm3) si può assistere ai sintomi e segni causati dalla difficoltà nella circolazione del sangue in alcuni organi (polmoni, SNC, organi di senso, pene) dovuto al numero di granulociti (leucostasi) con sviluppo di dispnea, cianosi, alterazioni dello stato di coscienza, diplopia, acufeni, priapismo. La progressione della LMC è associata a un peggioramento dei sintomi.

Il decorso clinico è classicamente caratterizzato dalla divisione in tre fasi:
·         Fase cronica: <15% di blasti, >100000 piastrine/mm3, <20% di granulociti basofili
·         Fase accelerata: 15-29% di blasti o <100000 piastrine/mm3 o >20% di granulociti basofili
·         Crisi blastica: >30% di blasti
Da un punto di vista morfologico, il viraggio dalla fase cronica alla crisi blastica è caratterizzato dallo sviluppo di un blocco differenziativo, analogamente a quanto accade nelle leucemie acute. La causa di questa progressione è da ricercare nella notevole instabilità genetica che la presenza di Bcr/Abl genera. In altre parole, le cellule BCR/ABL+ hanno probabilità molto maggiori di quelle normali di sviluppare ulteriori lesioni genetiche che sono alla base della progressione della malattia.

Alterazioni di laboratorio: il numero di leucociti è classicamente elevato; metà dei pazienti presentano valori superiori a 100000/mm3. La formula leucocitaria mostra una neutrofilia relativa e assoluta; sono generalmente presenti forme mieloidi immature (promielociti, mielociti e metamielociti) ma senza blocco differenziativo (tranne nei pazienti in crisi blastica) e con blasti intorno al 2-5%. La componente eritroide è usualmente diminuita, con diminuzione dell’ematocrito e presenza di eritroblasti nel sangue periferico; i reticolociti sono normali o lievemente aumentati. I valori di piastrine sono elevati nel 50% dei casi, potendo arrivare a valori anche superiori al milione. Paradossalmente sono possibili sia complicanze trombotiche che emorragiche, dovute al numero e alla funzionalità anormale delle stesse. In alcuni casi è presente trombocitopenia; quest’ultima è però segno di una malattia aggressiva e in progressione verso la crisi blastica.
Alterazioni biochimiche usuali sono l’iperuricemia (dovuta all’aumentato turn-over cellulare), i livelli elevati di LDH (indice di necrosi); è spesso presente un aumento dei valori plasmatici di vitamina B12, dovuto alla produzione da parte dei granulociti neutrofili di proteine leganti la B12 quali la trans-cobalamina I e III (questo fenomeno non è specifico di LMC ma è comune a tutte le sindromi mieloproliferative). I test di laboratorio più utilizzati sono rappresentati da citogenetica e PCR per Bcr/Abl.
Il cromosoma Philadelphia può costituire la sola anormalità citogenetica o essere presente insieme ad altre anomalie. L’esame citogenetico richiede la presenza di cellule in metafase per poter individuare i singoli cromosomi. A volte questo non avviene; in questi casi è possobile utilizzare la metodica FISH.
Mentre con l’esame citogenetico è possibile determinare la presenza di cellule Ph+ solo se esse sono in percentuale del 5% o superiore (1% per la FISH), con la PCR è possibile identificare la presenza di 1 cellula su 100000, e ciò è assai utile nel monitoraggio dei pazienti in trattamento. Inoltre, a differenza della citogenetica che usualmente richiede sangue midollare, la PCR può essere eseguita utilizzando sangue periferico, e anche per questa ragione è particolarmente adatta al monitoraggio nel tempo della malattia minima residua.

Per quanto riguarda la terapia, Bcr/Abl è una tirosinchinasi intracellulare non recettoriale; dato che non risiede sulla membrana cellulare e non può essere quindi bloccata da anticorpi, sono necessarie piccole molecole in grado di superare la membrana cellulare e di legarsi al sito attivo dell’enzima. Imatinib è un nuovo farmaco molecolare che è stato sviluppato proprio per inibire l’attività enzimatica di Bcr/Abl.


Policitemia vera
La policitemia vera (PV) o mmalattia di Vaquez è una malattia neoplastica della cellula staminale emopoietica, caratterizzata da una proliferazione persistente e incontrollata della linea eritropoietica, e in minor misura di quella piastrinopoietica e granulocitopoietica. È una malattia clonale in quanto glie elementi delle tre serie maturative midollari derivano tutte da una stessa cellula progenitrice emopoietica la quale ha acquisito una mutazione genica a impronta proliferativa. Nella PV, la proliferazione eritroide è predominante e determina un aumento numerico dei globuli rossi nel sangue periferico. La malattia può decorrere in modo asintomatico per molto tempo o essere caratterizzata da sintomi legati alla pletora ematica e all’ostruzione parziale o totale dei vasi di piccolo e medio calibro. La storia naturale della malattia, in assenza di trattamento, è caratterizzata da un progressivo aumento della massa eritrocitaria cui si associa un aumentato rischio di complicanze trombotiche o emorragiche. È possibile un’evoluzione tardiva in mielofibrosi (MMM) o in leucemia acuta.

Nella policitemia vera coesistono a livello midollare due tipi di popolazione cellulare staminale emopoietica, una neoplastica e una normale. La popolazione neoplastica rimpiazza gradualmente quella normale in virtù della sua capacità di proliferare e maturare in assenza di EPO.

Dal punto di vista eziopatogenetico, recenti studi hanno dimostrato il ruolo della mutazione somatica del gene JAK2 nella patogenesi della malattia. Alcuni fattori ambientali, inoltre, come l’esposizione a solventi organici o a radiazioni ionizzanti, possono influire sulla comparsa della PV. L’importanza dei fattori genetici è dimostrata dal riscontro di casi di policitemia familiare.
JAK2 è una chinasi della famiglia JAK che media la trasduzione del segnale, indotto dal legame di EPO e trombopoietina al proprio recettore, all’interno del nucleo, con conseguente proliferazione cellulare. La mutazione di questa chinasi determina un meccanismo gain of function della via che dal recettore conduce alla trasduzione del segnale all’interno del nucleo, quindi essa determina un aumento dell’attività di JAK2, con conseguente eccessiva trasduzione del segnale e attività di mieloproliferazione della cellula.

Si tratta di una patologia rara, con incidenza di circa 2:100000 per anno, leggermente più frequente nel maschio. L’età media di insorgenza è di 57 anni.
Nel 40% dei pazienti la diagnosi è occasionale. I pazienti con PV possono altrimenti riferire, al momento della diagnosi, cefalea, vertigini, ronzii, disturbi visivi, fenomeni Raynaud-simili o disturbi del microcircolo. Il 20% dei pazienti presenta all’esordio serie complicanze vascolari di tipo trombotico o più raramente emorragico tra cui: infarto del miocardio, angina pectoris, ictus cerebrale o TIA, trombosi venose profonde, tromboflebiti, epistassi, gengivorragia ed emorragie del tratto gastroenterico. L’eritromelalgia, che si presenta con un senso di bruciore alle mani ed ai piedi accompagnato da arrossamento e calore è un riscontro non infrequente durante la fase proliferativa della malattia. Un sintomo frequente e molto indicativo è il prurito generalizzato in occasione del contatto con l’acqua. Tra i segni clinici più frequenti nella PV vi sono il colorito rosso acceso del volto e delle mucose (eritrosi) e la congestione congiuntivale. Una splenomegalia di grado variabile è presente alla diagnosi nel 50% dei pazienti, un’epatomegalia nel 40%. L’incidenza di ulcera gastrduodenale è da 4 a 5 volte superiore al normale come conseguenza degli elevati livelli di istamina (stimolo alla produzione acid gastrica) e di possibili alterazioni vascolari gastriche. Infine, circa un terzo dei pazienti presenta moderata ipertensione la quale di solito scompare con la normalizzazione dell’ematocrito.

Esami di laboratorio: il dato costante presente nella OV è un aumento della massa eritrocitaria. Nella maggioranza dei casi questo si traduce all’emocromo con un aumento dei globuli rossi, dell’Hb e dell’ematocrito. Si associa spesso una modica leucocitosi e piastrinosi. L’EPO è normale o più spesso inferiore ai limiti di norma, a dimostrazione della produzione autonoma di globuli rossi. L’uricemia è quasi costantemente aumentata.
La biopsia osteomidollare mostra un’iperplasia trilineare, principalmente a carico della serie eritropoietica e fornisce informazioni sul grado iniziale di fibrosi.

I criteri diagnostici sono stati rivisti numerose volte, l’ultima delle quali nel 2008, e sono suddivisi in criteri maggiori e criteri minori. Per la diagnosi di PV occorre la presenza di entrambi i criteri maggiori + un criterio minore oppure del primo criterio maggiore e di almeno due criteri minori.
·         Criteri maggiori
o   Hb>18,5 g/dL nel maschio e >16,5 g/dL nella femmina o altra evidenza di incremento della massa eritrocitaria
o   Presenza della mutazione di JAK2 o di altre anomalie citogenetiche (escluso Bcr/Abl)
§  La presenza della mutazione allo stato omozigote (21% dei casi) si correla a livelli più alti di Hb, maggior incidenza di prurito, alto rischio trombotico ed alta probabilità di trasformazione in MMM
·         Criteri minori
o   Ipercellularità con iperplasia trilineare alla biopsia osteo-midollare
o   Bassi livelli serici di EPO
o   Formazione di colonie eritroidi endogene in vitro

L’identificazione delle cause di policitemia differenti dalla PV è importante, in particolare occorre escludere:
·         Policitemia apparente à per lo più correlata a obesità, perdita di liquidi o terapia diuretica, fumo, alcol, ipertensione
·         Policitemia congenita familiare primitiva (PFCP) à forma di policitemia familiare a trasmissione autosomica dominante caratterizzata da un aumento isolato dei livelli di Hb e globuli rossi. In genere non si accompagna a splenomegalia e non ha tendenza alla trasformazione in leucemia (inoltre l’emopoiesi è policlonale)
·         Policitemia Chuvash à è l’unica policitemia endemica nota, descritta per la prima volta nella popolazione Chuvash della Russia centrale. è stata poi riscontrata in altri gruppi etnici in diverse aree del mondo ed anche in Italia nell’isola di Ischia. È una malattia autosomica recessiva caratterizzata da eritrocitosi con livelli di EPO normali-alti. È causata da una mutazione del gene von Hippel Lindau (VHL) che determina una continua sintesi di EPO
·         Emoglobinipatie ad alta affinità per l’ossigeno à esistono rare varianti patologiche dell’Hb con alterata affinità per l’ossigeno. Le forma con aumentata affinità sono responsabili di una minor cessione di ossigeno ai tessuti e di una conseguente eritrocitosi compensatoria
·         Malattie mieloproliferative croniche familiari à esistono famiglie in cui due o più membri sono affetti da MPN. Dal punto di vista clinico queste forme familiari sono indistinguibili dalle corrispettive forme sporadiche, in termini di caratteristiche alla diagnosi, decorso clinico e mutazione del gene JAK2. Al momento non sono note le mutazioni responsabili delle forme familiari
·         Eritrocitosi idiopatica à forma di policitemia piuttosto eterogenea, in cui i pazienti non presentano tutti i criteri per definire una PV o una forma secondaria

Per quanto riguarda la prognosi, in genere il paziente con PV ben curato sta bene e può condurre una vita pressochè normale. Le principali complicanze cui può andare incontro sono di tipo trombotico o emorragico. Le complicanze trombotiche costituiscono circa il 30% di tutte le cause di morte nella PV. Particolare attenzione deve quindi essere posta nella prevenzione di tale rischio (è quindi consigliabile astenersi dal fumo e dall’uso di estroprogestinici, controllare il peso corporeo ed effettuare indagini della coagulazione). La trasformazione in altre malattie ematologiche come la leucemia acuta è rara, più frequente ed evento in genere tardivo è la trasformazione in mielofibrosi idiopatica (MFI). I pazienti a più alto rischio di sviluppare la mielofibrosi sono quelli trattati solamente con salassoterapia (l’impiego della chemioterapia citoriduttiva riduce significativamente il rischio).

La scelta terapeutica si deve basare sulla valutazione del rischio del paziente. Il primo obiettivo terapeutico è quello di ottenere un valore ottimale di ematocrito inferiore al 45%. I principali trattamenti che abbiamo a disposizione sono sostanzialmente due: il salasso, che consente di ridurre rapidamente il numero dei globuli rossi, e la chemioterapia citoriduttiva che agisce inibendo a livello midollare la produzione di globuli rossi.


Trombocitemia essenziale
La trombocitemia essenziale (ET) è una malattia clonale della cellula staminale emopoietica caratterizzata da una proliferazione persistente e incontrollata della linea piastrinopoietica, cioè la linea midollare che produce le piastrine (PLT). La diagnosi di ET deve essere considerata in caso di un valore di PLT persistentemente superiore al valore normale, in particolare se superiore a 450000/μL. Purtroppo non esistono segni clinici, esami di laboratorio o markers genetici distintivi di ET, quindi la diagnosi viene formulata dopo aver escluso altre patologie che possono dare una trombocitosi reattiva e le altre MPN o mielodisplasie associate a trombocitosi. La storia naturale della malattia è caratterizzata da un progressivo aumento delle PLT la cui conseguenza è un aumentato rischio di complicanze trombotiche o emorragiche. È possibile, anche se infrequente, l’evoluzione tardiva in mielofibrosi o in una leucemia acuta.
Si tratta di una patologia rara, con un’incidenza di 1-2 casi per 100000 l’anno, con una marcata predominanza nel sesso femminile. L’età media alla diagnosi è di 54 anni. Nessun agente eziologico esterno è stato individuato nella ET, mentre negli ultimi anni sta emergendo l’importanza di fattori genetici, come dimostrato dal riscontro non raro di casi familiari. È da sempre considerata una malattia clonale, al pari delle altre MPN, in realtà negli ultimi anni studi molecolari inducono a ritenere che non tutte le ET sono clonali (le ET clonali sembrano associarsi ad un aumentato rischio di sviluppare problemi vascolari di tipo trombotico) e che, in realtà, la malattia è molto più eterogenea di quanto ritenuto in passato.  

La trombopoietina è considerata il più importante regolatore della megacariocitopoiesi e della produzione piastrinica. La sua azione stimolante avviene sia a livello della cellula staminale che delle PLT mediante il legame con il recettore mpl.
Dal punto di vista genetico sono state identificate mutazioni a carico del gene MPL che codifica per il recettore della trombopoietina mpl. In questi casi, la trombopoietina si lega al recettore mpl mutato inducendo, analogamente all’EPO nelle policitemie vere JAK2 mutate, l’attivazione della cascata citochinica JAK2-STAT con conseguente costitutiva sopravvivenza e proliferazione cellulare.
La mutazione di JAK2 è presente, oltre che nella maggior parte dei pazienti affetti da PV, anche in una parte dei pazienti affetti da ET e da MMM. Per quanto riguarda le ET, sono state identificate pertanto forme di ET JAK2 positive e JAK2 negative. Le forme JAK2 positive sembrerebbero avere un andamento clinico-laboratoristico policitemia-like e un rischio trombotico aggiuntivo.

Quadro clinico: la diagnosi di ET è spesso occasionale, cioè sospettata sulla base di un elevato valore di PLT evidenziato da un esame emocromocitometrico che documenta invece normali valori di Hb, ematocrito e leucociti. Il 20% dei pazienti presenta un modesto ingrandimento della milza e del fegato. Il 35% riferisce cefalea, vertigini, ronzii, parestesie periferiche, disturbi della vista, livedo reticularis e fenomeni Raynaud-simili. L’eritromelalgia, che si presenta con un senso di bruciore alle mani e ai piedi accompagnato da arrossamento e calore è un riscontro non raro. Sono estremamente rari i sintomi sistemici come febbre, artralgie, dimagramento e dolori ossei, che sono invece frequenti in altre MPN quali MMM o LMC. Il prurito a contatto con acqua è raro. Problemi trombotici (per lo più arteriosi) o emorragici (accompagnano spesso le piastrinosi di grado elevato) rappresentano le cause più frequenti di mortalità e morbilità e possono essere presenti all’esordio della malattia in un 15-30% dei casi.

Per la diagnosi è fondamentale eseguire l’emocromo, che documenta un elevato numero di piastrine. Il livello di Hb deve essere sostanzialmente nella norma (un valore aumentato potrebbe suggerire la diagnosi di PV mentre un valore ridotto potrebbe suggerire un’anemia da carenza di ferro o una mielofibrosi). Il valore dei leucociti non dovrebbe essere alterato. Nel 50% dei pazienti con ET il dosaggio dell’EPO sierica è basso, quello di trombopoietina normale o lievemente aumentato. Anomalie dell’aggregazione piastrinica si riscontrano nel 50% dei casi. L’importanza della biopsia osteo-midollare sta nel fatto che essa consente di definire il tipo di proliferazione cellulare predominante, la cellularità midollare e di valutare l’eventuale presenza di fibrosi midollare. Occorre poi escludere le forme di trombocitosi reattiva (la diagnosi di ET è principalmente, come già detto, una diagnosi di esclusione) quali emorragia acuta, carenza marziale, splenectomia, rebound dopo chemioterapia, neolasie, stati infiammatori o infettivi acuti e cronici, esercizio fisico intenso ecc.
La diagnosi di ET richiede quindi sostanzialmente la presenza di tutti e 4 i seguenti criteri:
·         Piastrinosi stabile oltre 450000/μl
·         Proliferazione della sola linea megacariocitica alla biopsia osteo-midollare
·         Assenza dei criteri per la diagnosi di PV, LMC, sindromi mielodisplastiche o altre neoplasie mieloidi
·         Dimostrazione della mutazione JAK2 o di altro marcatore clonale, o, in assenza di un marcatore clonale, non evidenza di trombocitosi reattiva

Prognosi: il paziente con ET, se ben curato, può condurre una vita pressochè normale. Le principali complicanze sono di tipo trombotico (infarto del miocardio e accidenti vascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità) o emorragico (il rischio emorragico è legato alla conta piastrinica molto elevata ma è soprattutto secondario a un’alterazione qualitativa della funzionalità piastrinica). La trasformazione della ET in altre malattie ematologiche come la leucemia acuta o la mieofibrosi con metaplasia mieloide è un evento infrequente e per lo più tardivo.

La terapia della ET è fondamentalmente mirata al controllo del rischio trombotico, attraverso la riduzione, ma non solo, della conta piastrinica (tuttavia non tutti i pazienti con ET necessitano subito di terapia). Come per la PV la scelta terapeutica si basa sulla valutazione del rischio cardiovascolare del paziente: mentre per il paziente a basso rischio non è indicato alla diagnosi alcun trattamento citoriduttivo, ma solo antiaggregazione a basse dosi (acido acetilsalicilico), il paziente ad alto rischio necessita di una terapia citoriduttiva in associazione all’antiaggregazione.


Mielofibrosi con metaplasia mieloide
La mielofibrosi con metaplasia mieloide (MMM) è una malattia mieloproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione clonale di uno o più progenitori emopoietici nel midollo osseo o in sedi extramidollari. Essa si caratterizza per proliferazione megacariocitica e mieloide, fibrosi midollare di natura reattiva con conseguente eritropoiesi inefficace (difficoltà maturativa della linea eritroide con anemia), presenza nel sangue periferico di elementi immaturi della serie granulocitaria ed eritroide, con evidente anisopoichilocitosi ed emopoiesi extramidollare prevalentemente spleno-epatica. Si possono identificare una forma primitiva, detta anche mielofibrosi idiopatica (MFI), e una forma secondaria alle altre MPN Ph-negative, in particolare ET e PV. Infatti, sia ET che PV possono, nelle fasi avanzate di malattia, evolvere in uno stato fibrotico che prende il nome di metaplasia mieloide post trombocitemica e post policitemica rispettivamente. Tale evento si verifica mediamente dopo 10 o 20 anni di malattia in meno del 5% dei casi di ET e nel 25-50% dei casi di PV.
La storia naturale della malattia è caratterizzata da un progressivo aumento dell’epatosplenomegalia e da un peggioramento dell’anemia che può associarsi anche a piastrinopenia e leucopenia. In alcuni casi la malattia può evolvere in una leucemia acuta.
È una malattia rara, con incidenza di 1,4 casi per 100000 abitanti per anno, età media di insorgenza intorno ai 65 anni ed uguale distribuzione tra i due sessi.

L’eziologia della MMM è sconosciuta; non è stata identificata alcuna alterazione citogenetica specifica di questa malattia.
La mutazione JAK2 è presente in circa il 50% dei pazienti ed è associata ad un quadro fenotipico policitemia-like, ad una storia di trombosi e prurito e ad una sopravvivenza inferiore. La mutazione JAK2 risulta più frequente nei pazienti con MMM evoluta da PV.
Mutazioni a carico del gene MPL sono state identificate in circa il 10% dei casi. Le forme MPL mutate sembrano essere associate al sesso femminile, all’età più avanzata e a dei valori di Hb più bassi (che provocano una maggiore e anticipata trasfusione-dipendenza).
Mutazioni a carico del gene ASXL1 sembrano infine occorrere sia nelle forme primitive che in quelle secondarie e si associano a prognosi sfavorevole e a maggior probabilità di evoluzione blastica.
Il meccanismo patogenetico è sostanzialmente legato a quattro fattori:
·         Clonalità dell’emopoiesi à la MMM deriva dalla trasformazione clonale di una cellula staminale emopoietica che si traduce in proliferazione mieloide cronica e iperplasia atipica megacariocitaria
·         Fibrosi midollare reattiva à il quadro di fibrosi midollare è invece reattivo, essendo il risultato di un’iperattività e di una proliferazione non clonale dei fibroblasti, indotta dalla anomala secrezione di citochine e fattori di crescita (soprattutto TGFβ ed inibitori tissutali delle metalloproteasi) da parte delle cellule del clone patologico, in particolare da parte dei megacariociti e dei monociti, nelle fasi più avanzate della malattia la fibrosi midollare può associarsi a osteosclerosi (dovuta ad un’iperproduzione di osteoprotegerina)
·         Emopoiesi extramidollare à la fibrosi midollare causa la fuoriuscita di progenitori emopoietici dal midollo e la formazione di foci di emopoiesi extramidollare (metaplasia mieloide). Gli organi più spesso interessati sono milza e fegato, in quanto sede di emopoiesi già durante la vita fetale. I progenitori emopoietici circolanti, tipicamente aumentati nella MMM, sono caratterizzati dal punto di vista immunofenotipico dall’espressione degli antigeni di superficie CD34 e CD133; la valutazione del numero di cellule CD34+ circolanti è un parametro utile nella diagnosi differenziale tra mielofibrosi e altre MPN Ph-negative
·         Angiogenesi à l’angiogenesi è provocata da un’ipersecrezione di VEGF. Tale dato ha un importante risvolto clinico perché spiega l’efficacia terapeutica di alcuni farmaci ad azione antiangiogenica come la talidomide. Sia nel midollo che nella milza è stata documentata una correlazione tra densità capillare e densità di cellule emopoietiche CD34+

La diagnosi può essere casuale nelle forme iniziali asintomatiche, negli altri casi si basa sulla comparsa di sintomi sistemici come dispnea, affaticabilità, cardiopalmo e pallore (per l’anemia), precoce senso di sazietà, tensione o dolore addominale (splenomegalia), manifestazioni emorragiche. A differenza di quanto avviene nelle altre MPN, vengono frequentemente riferiti (soprattutto durante il decorso della malattia) calo ponderale, sudorazioni notturne e astenia. Un dolore acuto in ipocondrio sx deve far sospettare un infarto splenico.

Esami di laboratorio: l’anemia, riscontrabile in circa 2/3 dei pazienti, spesso si associa ad un meccanismo di eritropoiesi inefficace con ridotta sopravvivenza delle emazie. È possibile osservare, nel decorso clinico, episodi di anemia emolitica dovuti all’ipersplenismo e/o alla presenza di anticorpi antiemazie. La trombocitopenia è osservabile in 1/3 dei pazienti mentre una trombocitosi è evidente in circa 1/5 dei casi. Allo stesso modo, anche i leucociti possono essere normali, aumentati o ridotti. L’incremento dei valori di LDH e dell’uricemia testimoniano l’elevata proliferazione cellulare e l’eritropoiesi inefficace, l’incremento di EPO è secondario al grado di anemia. Possono essere presenti alterazioni dell’emostasi. Spesso si riscontrano fenomeni di autoimmunità (per i quali resta ancora da chiarire se rappresentino una reazione dell’ospite o se abbiano un ruolo patogenetico). Un altro aspetto interessante è rappresentato dall’elevata conta di cellule CD34+ nel sangue periferico.
Allo striscio di sangue periferico è di fondamentale importanza per la diagnosi evidenziare la presenza di elementi immaturi della serie granulocitaria (mielociti e/o metamielociti) ed eritroide (screzio leuco-eritroblastico), associati a marcata anisopoichilocitosi delle emazie e alla tipica presenza di dacriociti (emazie a lacrima).
L’aspirato midollare per la valutazione del cariotipo (ricerca di eventuali alterazioni cromosomiche), è di solito una punctio sicca (inaspirabile e quindi impossibile da eseguire) a causa della fibrosi.
Alla biopsia osteo-midollare il midollo può apparire ipercellulare, normocellulare o ipocellulare, con alterazioni di volume e forma dei megacariociti (dismegacariocitopoiesi) e dei precursori mieloidi (disgranulocitopoiesi). L’incremento delle fibre reticolari nel midollo aumenta con il progredire della malattia.

Esistono diversi criteri diagnostici per la MMM. La diagnosi può essere difficoltosa soprattutto nelle fasi ipercellulari di malattia, comunque la presenza di fibrosi midollare è abbastanza patognomonica di malattia. La diagnosi differenziale coinvolge soprattutto le altre MPN. La MMM va infine differenziata da forme di mielofibrosi secondarie ad altri disordini di natura neoplastica o non neoplastica. In particolare, la mielofibrosi con pancitopenia pone problemi di diagnosi differenziale con la mielodisplasia associata a fibrosi midollare.
Per la nuova classificazione WHO del 2008, la diagnosi di MMM necessita della presenza di tutti e 3 i criteri maggiori e di 2 criteri minori:
·         Criteri maggiori
o   Presenza di proliferazione di megacariociti atipici, usualmente accompagnata da incremento della trama reticolinica e/o da fibrosi con deposizione di collagene; o, in assenza di significativa fibrosi reticolinica, i cambiamenti megacariocitici devono essere accompagnati da incremento della cellularità midollare caratterizzato da proliferazione granulocitica e spesso diminuita eritropoiesi (fase pre-fibrotica)
o   Assenza dei criteri WHO per la diagnosi di PV, LMC, sindromi mielodisplastiche o altre neoplasie mieloidi
o   Dimostrazione della mutazione JAK2 o di altri marcatori di clonalità o, in assenza di marcatori clonali, assenza di evidenza di fibrosi midollare dovuta a sottostanti patologie infiammatorie e neoplastiche
·         Criteri minori
o   Leucoeritroblastosi
o   Incremento dei livelli di LDH sierici
o   Anemia
o   Splenomegalia palpabile

Per quanto riguarda la prognosi, il decorso clinico è molto variabile: si osservano pazienti asintomatici per lunghi periodi di tempo e pazienti con decorso clinico ingravescente e rapido, la sopravvivenza varia tra 1 e 15 anni (è quindi inferiore rispetto a quella che si osserva nella PV e nella ET). Le cause più frequenti di morte sono rappresentate dall’insorgenza di complicanze emorragiche o infettive e dall’evoluzione in leucemia acuta.

La maggior parte dei pazienti con MMM all’esordio è asintomatica e pertanto non viene sottoposta ad alcun trattamento. Questo viene instaurato in caso di comparsa di anemia o piastrinopenia, se si verifica progressione della splenomegalia, della leucocitosi o della piastrinosi, o in caso di insorgenza di sintomi costituzionali. La splenectomia è indicata in presenza di MMM in fase avanzata refrattaria a terapia farmacologica standard nei casi di eccessiva richiesta trasfusionale, splenomegalia sintomatica, ipercatabolismo ed ipertensione portale. Un trattammento alternativo alla splenectomia è rappresentato dalla radioterapia splenica. La talidomide ed altri farmaci antiangiogenici e anticitochinici (come la lenalidomide) hanno trovato indicazione nel trattamento della MMM. Al momento attuale il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche costituisce ancora la sola modalità di trattamento con un potenziale ruolo curativo nella MMM e pertanto va preso in considerazione nel paziente a rischio intermedio-alto di età inferiore ai 65 anni.










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