Malattie linfoproliferative leucemiche croniche

Le patologie linfoproliferative croniche costituiscono un gruppo eterogeneo di tumori derivanti da linfociti maturi della linea B o T, comprendente leucemie e linfomi (in fase leucemica). Le malattie linfoproliferative croniche della linea B rappresentano complessivamente più del 90% di tutte le neoplasie linfoidi e sono generalmente più frequenti nei paesi industrializzati (USA, Europa, Australia). Al contrario, le patologie linfoproliferative croniche T sono più frequenti in Asia, mentre sono rare nell’emisfero occidentale.
Nell’approccio clinico a un paziente con linfocitosi è necessario determinare con l’immunofenotipo quale sia la linea differenziativa che coinvolge i linfociti aumentati (CD19+, CD20+, CD22+ per la linea B; CD3+ per la linea T; CD56+ per la linea NK) e distinguere la natura neoplastica (monoclonale) o reattiva (policlonale) degli stessi. Per le linfocitosi della linea B, l’immunofenotipo stabilisce la presenza o meno di monoclonalità mediante lo studio delle catene leggere delle Ig espresse sulla superficie dei linfociti stessi; per le linfocitosi della linea T, è necessario ricorrere alla biologia molecolare attraverso lo studio del riarrangiamento dei geni del recettore T (TCR) mediante PCR. Quando indicato, la diagnosi può richiedere anche una valutazione istologica del midollo e del tessuto linfonodale.


Leucemia linfatica cronica 
La leucemia linfatica cronica (LLC) è un disordine linfoproliferativo che deriva dai linfociti B maturi. Dal punto di vista clinico, la LLC è infatti caratterizzata dalla proliferazione e dal progressivo accumulo di linfociti B clonali che determinano un aumento del numero dei globuli bianche nel sangue (leucocitosi con linfocitosi assoluta), un aumento delle dimensioni delle strutture linfatiche (linfadenomegalie, splenomegalia) e, negli stadi avanzati, una riduzione della funzione mielopoietica. Può inoltre associarsi a una condizione variabile di immunodepressione/immunodisregolazione.
È la forma più comune di leucemia dell’adulto nel mondo occidentale rappresentando il 25-30% di tutte le leucemie con un’incidenza di 5 nuovi casi su 100000 abitanti per anno. L’età media alla diagnosi è di circa 70 anni ed è leggermente più frequente nel maschio.

Eziopatogenesi: ad oggi non sono noti agenti eziologici né alterazioni genetico-molecolari responsabili dello sviluppo della LLC. Infatti, le alterazioni cromosomiche caratteristiche della LLC sono eterogenee; molte sono rare alla diagnosi e compaiono successivamente durante la progressione della malattia, e per alcune non è stato ancora identificato il gene coinvolto. Pertanto, è verosimile che esse siano responsabili non dell’evento iniziatore del processo leucemico, quanto invece della sua successiva evoluzione.
Il meccanismo patogenetico più accreditato prevede infatti che una lesione genetica iniziale induca la sopravvivenza ed un vantaggio proliferativo in un linfocita B maturo (che può presentare o meno mutazioni nei geni della porzione variabile delle catene pesanti e leggere delle Ig), rendendolo disponibile alla continua stimolazione antigenica da parte dell’antigene per cui il suo recettore è specifico. Ciò ne induce l’espansione clonale. Nuove mutazioni addizionali determinano poi la trasformazione di tali linfociti da clonali a neoplastici. Numerosi stimoli inducono la successiva espansione e la proliferazione del clone leucemico, prevenendone l’apoptosi. lo stimolo proliferativo principale deriva dall’interazione del recettore B (BCR) del linfocita di LLC con l’antigene, che innesca il processo di trasduzione del segnale e attivazione del linfocita, con conseguente stimolo proliferativo. Nei casi di LLC che presentano mutazioni nei geni della porzione variabile delle catene delle Ig tuttavia, il BCR è incapace di innescare tale trasduzione del segnale; le LLC con tali caratteristiche recettoriali hanno quindi un comportamento più indolente (mentre le forme di LLC che non presentano mutazioni a carico delle catene Ig hanno andamento più aggressivo). La natura dell’antigene/i responsabile/i della crescita leucemica non è ancora nota. Tuttavia, vari studi hanno evidenziato come i BCR presentino spesso strutture ricorrenti molto simili, se non identiche, in pazienti diversi. Pertanto, si può ipotizzare che un numero ristretto di antigeni promuova la proliferazione selettiva dei linfociti leucemici. La LLC potrebbe originare quindi da una risposta a specifiche infezioni virali o batteriche oppure avere una base autoimmune nel caso di autoantigeni. Nella proliferazione cellulare, anche le interazioni della cellula leucemica con antigeni, citochine, cellule del microambiente midollare/linfonodale hanno un ruolo rilevante. Tali stimoli possono variare nelle diverse forme di LLC, rappresentando una possibile giustificazione del diverso andamento clinico dei pazienti. Inoltre, la comparsa di lesioni genetiche addizionali può influenzare il decorso della malattia. Infine, nella LLC è riconosciuta una predisposizione familiare: circa il 10% dei pazienti affetti da LLC ha uno o più familiari affetti da malattie linfoproliferative croniche, la metà delle quali sono rappresentate da una LLC. Nei casi a carattere familiare è stato inoltre descritto il fenomeno dell’anticipazione, cioè una più precoce età di insorgenza della LLC nelle generazioni successive.

Quadro clinico: nella maggioranza dei casi, il paziente con LLC è asintomatico e la diagnosi viene posta occasionalmente. In alcuni casi, l’attenzione del paziente può essere rivolta alla comparsa di alcune adenomegalie superficiali. Le adenomegalie, solitamente non dolenti, sono spesso apprezzabili in diverse sedi. In altri casi, meno frequenti, può essere rilevabile una splenomegalia. I sintomi B caratteristici di malattie linfoproliferative più aggressive (febbre, dimagrimento e sudorazione notturna) sono rari e caratterizzano le forme più avanzate di malattia. Inoltre, negli stadi avanzati caratterizzati da insufficienza midollare il paziente può presentare i sintomi tipici dell’anemia (pallore, astenia, tachicardia), della piastrinopenia (ecchimosi, emorragie) e adenomegalie di dimensioni più importanti. In altri casi, una diagnosi di LLC può essere posta in occasione di un’infezione. Infine, in una piccola percentuale di casi l’esordio e il decorso della LLC possono essere complicati dalla presenza di una trombocitopenia o di un’anemia emolitica autoimmune quali effetti della condizione di dis-immunoregolazione correlati alla malattia stessa e al suo trattamento con alchilanti e analoghi delle purine.

La diagnosi di LLC viene posta quando nel sangue venoso periferico sono documentabili almeno 5000/mm3 linfociti B clonali (se sono meno si parla di linfocitosi B monoclonale) con le caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche di questa forma di leucemia.
La diagnosi richiede una corretta valutazione della morfologia linfocitaria su striscio di sangue periferico. Nelle forme tipiche, il quadro è monomorfo e caratterizzato dalla presenza di piccoli linfociti, apparentemente maturi, con scarso citoplasma e nucleo caratterizzato da cromatina addensata a blocchi. Sono frequenti anche linfociti “rotti” durante la preparazione dello striscio a causa della maggior fragilità della loro struttura citoscheletrica. Sono descritte anche forme morfologicamente atipiche di LLC, in cui viene rilevata la presenza di una quota di elementi linfoidi cono altre caratteristiche morfologiche ma in percentuale non superiore al 15% dei linfociti del sangue periferico. Nella LLC con eccesso di prolinfociti vi è un aumento (inferiore al 55%) di prolinfociti, cioè di cellule più grandi con abbondante citoplasma, nucleo rotondo a cromatina relativamente più fine con nucleolo prominente. Quando la quota di prolinfociti nel sangue periferico è superiore al 55%, si parla più propriamente di leucemia prolinfocitica B.
L’esame immunofenotipico dei linfociti circolanti mostra un profilo caratteristico: i linfociti mostrano l’espressione degli antigeni di superficie CD5+, CD19+, CD23+, con gli antigeni CD20+ e CD79b+ debolmente espressi, debole espressione delle Ig di superficie con restrizione clonale della catena leggera. La LLC esprime anche l’antigene CD200, che è di particolare ausilio nella diagnosi differenziale con le forme leucemiche di linfoma mantellare. L’esame immunofenotipico consente inoltre di valutare la percentuale di cellule leucemiche che esprimono il CD38, CD49d e ZAP-70 (zeta chain-associated protein kinase-70), marcatori associati il cui incremento è correlato a un noto effetto prognostico sfavorevole.
La biopsia osteo-midollare e/o quella linfonodale non sono necessarie se non quando si pone un problema di diagnosi differenziale nei confronti di un’altre patologia linfoproliferativa o, in particolare, di una sindrome di Richter.
Un esame clinico comprendente la valutazione delle stazioni linfonodali superficiali, dell’anello del Waldeyer, del fegato e della milza è indispensabile per valutare l’estensione della malattia e valutarne lo stadio.
La RX del torace associata a ecotomografia dell’addome possono essere utili per una valutazione delle adenomegalie profonde e per una migliore definizione delle dimensioni spleniche. La PET può essere utile per identificare la presenza di una patologia linfoproliferativa ad elevato indice metabolico come la sindrome di Richter o una seconda neoplasia.
Un aumento dei valori di β2microglobulina e LDH sono indicativi di prognosi sfavorevole. Nei casi con anemia e segni di emolisi va ricercata infine la presenza di autoanticorpi antieritrocitari mediante test di Coombs diretto e indiretto.

Il decorso clinico e la prognosi della LLC sono estremamente eterogenei: alcuni pazienti hanno una malattia stabile nel tempo, non richiedono terapia anche per decenni e hanno una sopravvivenza simile a quella della popolazione di pari età, mentre altri hanno una rapida progressione con precoce necessità di trattamento e breve sopravvivenza. Per anni i sistemi di stadiazione clinica sviluppati da RAI e poi da Binet hanno rappresentato la pietra miliare nella classificazione prognostica delle LLC. Essi guidano tuttora la valutazione della progressione della malattia e la decisione di iniziare il trattamento. Si basano sui risultati dell’emocromo e dell’esame obiettivo del paziente.  Tuttavia, all’interno di ogni stadio clinico vi è un certo grado di eterogeneità prognostica; in particolare tra i pazienti con malattia in stadio iniziale, che rappresentano circa il 50% dei casi alla diagnosi, la stadiazione clinica non consente di discriminare i pazienti con malattia che progredirà verso stadi clinici più avanzati da quelli in cui essa rimarrà stabile per decenni. Per queste ragioni, negli ultimi 20 anni sono stati identificati numerosi fattori con significato prognostico indipendente, tra cui il numero dei linfociti circolanti, la morfologia linfocitaria atipica, il tempo di raddoppiamento linfocitario e il grado di infiltrazione linfocitaria alla biopsia ossea. La combinazione di alcuni di questi parametri ha permesso di identificare, all’interno dello stadio iniziale, un sottogruppo a prognosi altamente favorevole, con malattia indolente (LLC smoldering) e una aspettativa di vita non dissimile da quella della popolazione generale di pari età.
Dal punto di vista immunofenotipico, le LLC che esprimono CD38, CD49d e/o ZAP-70 risultano avere una prognosi più sfavorevole. Anche l’assenza di mutazioni nei geni delle catene immunoglobuliniche risultano essere correlate, come già detto, ad una patologia aggressiva.
Infine, le principali alterazioni citogenetiche con significato prognostico noto sono la delezione/mutazione dei geni TP53 e ATM (regolatori di riparazione del danno al DNA e dell’induzione dell’apoptosi cellulare), a significato prognostico sfavorevole, e le mutazioni di NOTCH1, associate ad un più alto rischio di sviluppare la sindrome di Richter e ad una ridotta sopravvivenza.

Le complicanze infettive sono la causa principale di morbidità e mortalità nei pazienti con LLC. I pazienti con LLC presentano infatti un deficit variabile dell’immunità cellulare e umorale che li rende maggiormente suscettibili a infezioni. La chemioterapia e la terapia con rituximab (mAb anti CD20) e alemtuzumab (mAb anti CD52) provocano inoltre una prolungata linfopenia a carico dei linfociti B e/o T, incrementando ulteriormente il rischio infettivo.
L’immunodepressione che caratterizza la LLC ha un ruolo anche nel condizionare l’insorgenza di altre neoplasie (melanoma, neoplasie urogenitali, polmonari e della mammella).
Il decorso clinico può essere inoltre complicato dall’insorgenza di una sindrome di Richter, ovvero dalla comparsa di un linfoma, più frequentemente un linfoma aggressivo diffuso a grandi cellule B. si tratta di una condizione che frequentemente si associa a segni sistemici, ad adenomegalie più importanti e ha una prognosi generalmente sfavorevole. Tale complicazione interessa circa il 10-15% dei pazienti con LLC (soprattutto quelli senza mutazioni delle catene Ig e/o con mutazioni a carico dei geni TP53 e NOTCH1).
Infine, non infrequenti sono le patologie autoimmuni associate, come l’anemia emolitica (più rare la trombocitopenia, la neutropenia autoimmune e l’aplasia eritroide pura), da attribuire alla profonda disimmunoregolazione che può associarsi a LLC. Sono state inoltre descritte altre sindromi autoimmuni, come l’artrite reumatoide, il LES, la sindrome di Sjogren e la tiroidite di Hashimoto.

Per quanto riguarda la terapia, al momento attuale, in assenza di una terapia capace di eradicare il clone leucemico, le linee guida raccomandano che il trattamento sia riservato ai pazienti con malattia di stadio avanzato e/o con segni di malattia attiva e rapidamente progressiva. I farmaci più utilizzati comprensono agenti alchilanti, analoghi delle purine ed anticorpi monoclonali.




Leucemia prolinfocitica
La leucemia prolinfocitica (LP) è un disordine linfoproliferativo molto raro, caratterizzato da una prognosi sfavorevole.
È caratterizzato da una linfocitosi, con presenza di prolinfociti (B o T) circolanti e da una splenomegalia solitamente marcate. Possono inoltre essere osservate adenomegalie e talvolta rash cutaneo.


Leucemia a cellule capellute
La leucemia a cellule capellute (hairy cell leukemia, HCL) è una malattia linfoproliferativa rara che colpisce prevalentemente i maschi con età media alla diagnosi di circa 50 anni.
Si caratterizza per pancitopenia, splenomegalia e presenza nel midollo e nel sangue periferico di cellule dalla morfologia caratteristica (cellule con estroflessioni citoplasmatiche definite, per analogia, capelli).


Leucemia a grandi linfociti granulari
La leucemia a grandi linfociti granulari (large granular lymphocytes, LGL) rappresenta un raro disordine linfoproliferativo sostenuto dall’espansione clonale dei linfociti T citotossici o cellule NK. L’età media alla diagnosi è intorno ai 60 anni e vi è una nettissima predominanza di pazienti di sesso maschile.
Il clone LGL determina una profonda depressione dell’emopoiesi midollare con meccanismi immuno-mediati e conseguente citopenia nel sangue periferico. Il quadro clinico può essere caratterizzato infatti da una leucopenia con neutropenia anche severa, e può quindi essere associato ad anemia p raramente a trombocitopenia. Può non essere presente una linfocitosi assoluta, dato che il clone LGL è solitamente di modesta entità. Può essere presente splenomegalie e/o epatomegalia, mentre è raro il coinvolgimento linfonodale.


Sindrome di Sezary

Sindrome rara caratterizzata da linfadenopatia generalizzata, leucemizzazione nel sangue periferico da parte di linfociti T di piccola taglia ed eritrodermia con intenso prurito. Riscontri comuni sono esfoliazione, edema e lichenificazione della cute, alopecia, distrofia ungueale, ipercheratosi palmoplantare. La dimostrazione delle cellule di Sezary (linfociti T con nuclei cerebriformi) nella cute, nei linfonodi e nel sangue periferico è diagnostica. La sopravvivenza mediana va dai 2 ai 4 anni.

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