Gammopatie monoclonali

Con il termine di gammopatie monoclonali si intende un insieme di quadri patologici, a potenziale sia benigno che maligno, caratterizzati dalla proliferazione di plasmacellule monoclonali a livello del midollo osseo e dal conseguente iperaccumulo di immunoglobuline monoclonali (proteina o componente M) a livello del siero, delle urine o, più raramente, degli organi interni. Sembra che tale processo abbia origine nel centro germinativo dei follicoli linfoidi.
Fisiologicamente, ciascuna immunoglobulina è costituita da una catena polipeptidica pesante e da una singola catena leggera (k o λ). il normale processo di maturazione prevede il riarrangiamento dei geni che codificano per le singole catene alla base della variabilità policlonale e della specificità antigenica delle Ig. Tuttavia, durante questi eventi fisiologici, possono verificarsi traslocazioni che determinano l’instabilità genetica responsabile della patogenesi della discrasia e della monoclonalità delle immunoglobuline.
La monoclonalità delle immunoglobuline ne determina la medesima velocità di migrazione elettroforetica e ciò conferisce il tipico aspetto con il doppio picco all’esame del quadro proteico elettroforetico. Le discrasie plasmacellulari comprendono le MGUS (gammopatia monoclonale di significato incerto), il mieloma multiplo, l’amiloidosi, il morbo di Waldenstrom e le crioglobulinemie.


MGUS
Il termine di gammopatie monoclonali di incerto significato è stato coniato dopo aver osservato che in pazienti asintomatici, la presenza di proteine sieriche e/o urinarie monoclonali incrementava il rischio di sviluppare mieloma multiplo (MM), macroglobulinemia di Waldenstorm (WM) o amiloidosi (AL). Le MGUS sono caratterizzate da una modesta proliferazione di plasmacellule monoclonali a livello del midollo osseo e dal conseguente accumulo di Ig nel siero e/o nelle urine, in assenza tuttavia di danno midollare o d’organo. Di conseguenza i pazienti non manifestano i segni e sintomi tipici dei disordini linfoproliferativi quali anemia, insufficienza renale, calo ponderale, dolore osseo associato a comparsa di lesioni osteolitiche, ipercalcemia, astenia o febbre. Tale disordine viene identificato casualmente tramite il quadro proteico elettroforetico.
È una condizione che interessa prevalentemente i soggetti di età avanzata, con un’incidenza pari a circa il 3% in soggetti oltre i 50 anni e a circa il 5% in soggetti over 70.
L’eziologia è sconosciuta, tuttavia un’anamnesi famigliare positiva per MGUS aumenta di 2-3 volte il rischio di sviluppare un quadro analogo.
Alterazioni genetiche e produzione di citochine (ad esempio IL-1, IL-6 e TNFα attivano gli osteoclasti ed inibiscono gli osteoblasti) possono giocare un ruolo chiave nella progressione delle MGUS in patologie maligne, soprattutto mieloma, sebbene un ruolo specifico di queste alterazioni non sia ancora stato definito. Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che nel MM è presente un incremento dell’angiogenesi. È probabile quindi che nelle MGUS si verifichi la perdita dell’inibizione dell’angiogenesi con progressiva evoluzione verso la controparte maligna.

Quadro clinico: l’assenza di segni e sintomi è intrinseca alla definizione di MGUS. La comparsa di manifestazioni cliniche o di alterazioni laboratoristiche è indicativa invece di evoluzione verso una patologia maligna, quale MM, WM o AL. Le MGUS si trovano spesso associate ad altre patologie (ematologiche come leucemie e linfomi, alterazioni della coagulazione e malattie mieloproliferative; del tessuto connettivo come il LES e l’artrite reumatoide; neurologiche come neuropatie periferiche; endocrine; dermatologiche ecc), in particolare nei soggetti più anziani. Non necessariamente le due patologie si trovano in un rapporto di causa-effetto, talora possono semplicemente coesistere.

La diagnosi si basa, oltre che sull’evidenza di un picco monoclonale all’elettroforesi, sulla presenza dei seguenti criteri:
·         <3g/dL di proteine monoclonali circolanti
·         <10% di plasmacellule midollari
·         Assenza di danno d’organo, riassumibile con l’acronimo CRAB
o   C à calcemia >11,5 mg/dL
o   R à insufficienza renale, creatinina >2 mg/ dL
o   A à anemia, Hb <10 g/dL
o   B à lesioni ossee (dall’inglese bone)

Nei pazienti in cui si rilevi la presenza di una componente M sospetta per MGUS è necessario eseguire:
·         Emocromo con formula leucocitaria
·         Calcemia e creatinemia
·         Valutazione delle proteine sieriche e urinarie
o   Dosaggio delle proteine totali sieriche e successiva elettroforesi (per individuare la concentrazione della componente monoclonale)
o   Proteinuria su campione delle urine delle 24 ore e successiva elettroforesi (per valutare la presenza e la concentrazione di proteine urinarie monoclonali)
o   Successiva immunoelettroforesi (per individuare il tipo di proteine monoclonali)
·         Aspirato midollare (se la componente monoclonale è >1,5 g/dL)
·         RX scheletro (se la componente monoclonale è >1,5 g/dL o in caso di una sintomatologia ossea sospetta)

Il rischio di trasformazione in MM è pari all’1% annuo. Un importante fattore predittivo di progressione è la concentrazione della componente monoclonale. Anche il tipo di catena pesante costituisce un valore predittivo: le MGUS IgA e IgM hanno un rischio maggiore di evoluzione rispetto a quelle IgG. Recentemente è stata introdotta la valutazione del rapporto tra le catene leggere k e λ libere nel siero. Si è osservato che un rapporto compreso tra 0,26 e 1,65 non è indicativo per espansione clonale, mentre sono a maggior rischio di evoluzione valori al di sotto di 0,26 (indice di eccesso di catene λ) p al di sopra di 1,65 (indice di eccesso di catene k).

Essendo quadri asintomatici, le MGUS non richiedono alcuna terapia specifica. È sufficiente un corretto follow-up.


Smouldering mieloma
Per smouldering mieloma (SMM), o mieloma indolente, si intende una condizione patologica di transizione tra MGUS e MM. Esso è caratterizzato dalla compresenza di:
·         >3 g/dL di proteine monoclonali circolanti e/o >10% di plasmacellule midollari
·         Manifestazioni cliniche (CRAB) assenti

Il rischio di evoluzione a MM è pari al 5% nei primi 5 anni, 3% nei successivi 5 ed infine dell’1% nei dieci anni successivi.
Ad oggi, nessuno studio ha dimostrato che un trattamento precoce del SMM possa ritardare l’evoluzione verso il MM. Attualmente dunque, di fronte a un paziente affetto da SMM si consiglia uno stretto follow-up (ogni 3-4 mesi) al fine di determinare precocemente un’eventuale evoluzione.


Plasmocitoma solitario dell’osso
È importante distinguere questa patologia da un mieloma in stadio iniziale. I criteri che si riscontrano nel plasmocitoma solitario dell’osso comprendono:
·         Presenza di un unico sito di lesione dimostrata mediante tecniche di imaging
·         Dimostrazione di infiltrazione plasmacellulare su biopsia della lesione
·         <10% di plasmacellule midollari monoclonali
·         Assenza di CRAB

Il trattamento standard è rappresentato dalla sola radioterapia.




Mieloma multiplo
Il mieloma multiplo (MM) è una neoplasia caratterizzata dall’accumulo di plasmacellule monoclonali a livello del midollo osseo e da un’aumentata produzione di immunoglobuline monoclonali o di catene leggere di tipo k o λ (responsabili della proteinuria di Bence-Jones), con la comparsa di sintomi indice di danno d’organo (CRAB). Soltanto una piccola percentuale di casi di MM non secerne proteina monoclonale (mieloma non secernente), una rara forma in cui sono presenti plasmacellule in sovrannumero ma che non producono Ig.
I criteri diagnostici per mieloma multiplo comprendono
·         >3 g/dL di proteine monoclonali circolanti
·         >10% di plasmacellule midollari
·         Manifestazioni cliniche (CRAB) presenti

Rappresenta circa l’1% di tutte le neoplasie e il 13% di quelle ematologiche. Ha un’incidenza annuale di 5,6 casi su 100000 abitanti. È una patologia tipica dell’anziano, con età media alla diagnosi di circa 65 anni. È più leggermente più frequente nel maschio e nella razza nera. Non sono attualmente noti fattori di rischio certi (potrebbero avere un ruolo le radiazioni nucleari e i derivati del petrolio).
Il meccanismo patogenetico è rappresentato dal legame delle cellule del MM, mediante molecole di adesione, alle cellule stromali midollari e alla matrice extracellulare che favoriscono la loro crescita, sopravvivenza, farmaco-resistenza e migrazione all’interno del midollo.

Quadro clinico: i segni e sintomi caratteristici del mieloma sono correlati sia alla proliferazione delle plasmacellule nel midollo osseo emopoietico, con conseguente sovvertimento della proliferazione delle altre linee cellulari, sia al danno determinato dall’alterazione dell’architettura ossea indotta dalla proliferazione plasmacellulare stessa. Durante gli stadi iniziali della malattia segni e sintomi sono spesso sfumati.
Il dolore osseo è un sintomo precoce e molto comune (a differenza del dolore del carcinoma metastatico, che spesso peggiora di notte, quello del mieloma è accentuato dal movimento), conseguente all’accumulo delle plasmacellule a livello osseo e alla secrezione di citochine con attività stimolante gli osteoclasti e al conseguente sovvertimento della struttura ossea (in particolare a livello della colonna vertebrale e delle coste). Il dolore può essere anche molto intenso e indicare la presenza di una frattura patologica. Particolare è l’interessamento del cranio, dove è possibile evidenziare caratteristiche lesioni litiche rotonde a margini netti.
L’ipercalcemia è direttamente correlata al rimaneggiamento osseo. Può essere sintomatica e manifestarsi inizialmente con anoressia, poliuria e polidipsia sino a quadri di encefalopatia ipercalcemica.
L’astenia rappresenta l’espressione più significativa dello stato anemico dei pazienti, indotto dalla proliferazione plasmacellulare a livello midollare (e anche dalla riduzione della produzione di EPO in quei casi di insufficienza renale).
Le infezioni ricorrenti (polmoniti, pielonefriti) derivano dall’indebolimento del sistema immunitario e, in particolare, di quello anticorpo-mediato (infatti nel MM, se si esclude la componente M, è presente una ipogammaglobulinemia globale). A ciò si associa la neutropenia, di entità variabile e correlata al grado di invasione midollare.
L’insufficienza renale è causata dall’ipercalcemia e dall’eccesso di catene leggere monoclonali nel plasma che, filtrate a livello glomerulare e poi riassorbite a livello tubulare possono precipitare, determinare un danno diretto o mediato da enzimi lisosomiali a livello tubulare e glomerulare. Il quadro morfo-funzionale più frequente è rappresentato dal rene da mieloma, la cui manifestazione clinica più comune è un’insufficienza renale cronica.
Le manifestazioni neurologiche possono essere provocate dalla compressione midollare o radicolare esercitata da un crollo vertebrale (per danneggiamento osseo) o da masse plasmacellulari (plasmocitomi) vertebrali o costali.
La sindrome da iperviscosità, caratterizzata da disturbi visivi, neurologici ed insufficienza vascolare periferica, è più frequente nei casi di MM di tipo IgM, in quanto questa proteina ha una maggior tendenza alla polimerizzazione.

Una prima valutazione diagnostica del mieloma multiplo comprende:
·         Emocromo con formula leucocitaria
·         Valutazione della funzionalità epatica e renale e del quadro elettrolitico
·         Valutazione delle proteine sieriche e urinarie
o   Dosaggio delle proteine totali sieriche e successiva elettroforesi (per individuare la concentrazione della componente monoclonale)
o   Proteinuria su campione delle urine delle 24 ore e successiva elettroforesi (per valutare la presenza e la concentrazione di proteine urinarie monoclonali, quantificando la proteinuria di Bence-Jones)
o   Successiva immunoelettroforesi (per individuare il tipo di proteine monoclonali)
o   Dosaggio delle catene leggere libere nel siero
·         Aspirato midollare
·         Biopsia ossea del midollo
·         RX scheletro
·         RMN della colonna
·         TC (in caso di dubbia interpretazione delle lesioni osteolitiche)

I pazienti affetti da MM possono essere stratificati in gruppi diversi sulla base dei valori di Hb, calcio sierico, funzionalità renale, entità della componente monoclonale e le lesioni ossee, secondo la stadiazione di Durie e Salmon.
Recentemente è stato introdotto un nuovo sistema di stadiazione basato sui livelli sierici di albumina e β2microglobulina (quest’ultima in particolare sembra essere il più potente indice predittivo di sopravvivenza).
Infine, negli ultimi anni è emerso anche per il mieloma l’importanza dell’identificazione di anomalie cromosomiche, in particolare la delezione del cromosoma 13 e del cromosoma 17 sono quelle associate a prognosi più sfavorevole.

Terapia: il MM è una patologia attualmente incurabile. L’introduzione di nuovi farmaci come gli immunomodulanti e gli inibitori del proteasoma ha permesso di ottenere una più elevata percentuale di remissioni complete, con conseguente aumento dell’intervallo libero da malattia, della sopravvivenza e non da ultimo di migliorare la qualità di vita dei pazienti. Il paziente giovane (<65 anni) è candidato inoltre (eccetto che per i soggetti con importanti comorbidità) alla chemioterapia ad alte dosi con successiva infusione di cellule staminali midollari autologhe (è possibile anche effettuare un trapianto allogenico).


Amiloidosi sistemica
L’amiloidosi sistemica è una patologia rara, caratterizzata dal deposito a livello di organi e tessuti di una sostanza proteica, definita amiloide, composta da fibrille insolubili e resistenti alla proteolisi. L’attuale classificazione verte sul tipo di proteina amiloide prodotta:
·         Amiloidosi AA: le fibrille derivano da una proteina di fase acuta epatica, l’amiloide sierica AA, secondaria a malattie infiammatorie croniche
·         Amiloidosi Aβ: tipica della malattia di Alzheimer, caratterizzata dall’accumulo di β-amiloide (derivato dal taglio proteolitico del precursore APP)
·         Amiloidosi AL: deriva dall’aggregazione di catene leggere immunoglobuliniche dalla struttura alterata

L’amiloidosi AL rappresenta la forma più comune (10 casi per milione per anno) e più grave, dal momento che tende a colpire organi vitali come cuore, reni e fegato.
L’eziologia non è stata ancora del tutto chiarita. Sappiamo però che un piccolo clone di plasmacellule è il responsabile della produzione di catene leggere strutturalmente anomale in grado di aggregarsi e di organizzarsi in fibrille.

Le manifestazioni all’esordio sono molto aspecifiche. La comparsa di sintomi clinici riflette la presenza di un danno d’organo già esteso. Alla diagnosi, i sintomi più caratteristici sono: astenia, perdita di peso, comparsa di edemi, macroglossia, porpora periorbitaria e interessamento cutaneo, con una tipica lesione eritematosa “a segno di cerotto”, generalmente presente sul tronco (questi ultimi sintomi, sebbene specifici, si manifestano solo nel 15% dei casi). Con il progredire della patologia, circa il 50% dei pazienti presenta interessamento cardiaco con un quadro clinico di scompenso. All’ECG si possono osservare alterazioni del ritmo o segni di ischemia silente. L’ecocardiogramma evidenzia infiltrazione delle pareti (aumento dello spessore del setto interventricolare). In caso di coinvolgimento renale si osserva proteinuria progressivamente ingravescente. L’amiloidosi può interessare anche il fegato, con comparsa di epatomegalia palpabile e aumento della fosfatasi alcalina. Da un punto di vista neurologico, l’amiloidosi può manifestarsi con neuropatia periferica, soprattutto a carico degli arti superiori ed inferiori.

La diagnosi di amiloidosi AL richiede:
·         Riscontro del deposito di sostanza amiloide: il prelievo di grasso periombelicale, con successiva colorazione Rosso Congo, rimane il gold standars. Tuttavia, quest’esame è in grado di riconoscere depositi di amiloide solo nel 70-80% dei casi e, se necessario, è possibile procedere con il prelievo bioptico a livello degli organi potenzialmente coinvolti
·         Tipizzazione della proteina amiloide mediante spettrometria di massa
·         Dimostrazione della componente monoclonale mediante l’immunoelettroforesi sierica e urinaria
·         Biopsia osteomidollare, soprattutto per porre diagnosi differenziale con il mieloma multiplo
·         Definizione del grado di estensione del danno (valutazione del coinvolgimento degli organi colpiti)

La principale causa di morte nell’amiloidosi è legata alla cardiomiopatia, con progressione del quadro di scompenso cardiaco congestizio o morte improvvisa per fibrillazione ventricolare o asistolia. L’entità della compromissione cardiologica, inoltre, riduce lo spazio terapeutico, con un’inevitabile diminuzione dell’aspettativa di vita. Recentemente è stato proposto e validato un sistema di stratificazione prognostica del paziente basato sul coinvolgimento cardiaco, che prende in considerazione i valori di NT-proBNP e della troponina T.
Inoltre, anche la risposta al trattamento influenza la sopravvivenza. La risposta al trattamento si basa su due criteri diversi e complementari, i quali possono dare ulteriori indicazioni circa la prognosi dei pazienti: il primo criterio riguarda la risposta sierologica, cioè il grado di riduzione delle catene leggere libere; il secondo criterio è di tipo organico, di cui il coinvolgimento cardiaco è il più importante.

È auspicabile iniziare una terapia precocemente per ritardare o evitare la comparsa di danno d’organo irreversibile. L’introduzione della chemioterapia ad alte dosi e del trapianto di cellule staminali autologhe ha aumentato le opzioni terapeutiche anche per i pazienti amiloidotici. Va tenuto presente che non più del 30% dei pazienti affetti da amiloidosi è candidabile al trapiantoo, data l’elevata percentuale di compromissione di organi vitali, in primis il cuore.


Macroglobulinemia di Waldenstrom
La macroglobulinemia di Waldenstrom (MW) è una malattia neoplastica caratterizzata dalla proliferazione di linfoplasmociti secernenti immunoglobuline monoclonali di classe IgM. Nella classificazione WHO è stata associata al linfoma linfoplasmocitico in quanto le caratteristiche istologiche sono le medesime, tuttavia, il secondo workshop internazionale sulla MW ha definito questa malattia come un’entità clinica distinta, caratterizzata da infiltrazione midollare di linfoplasmociti e gammopatia monoclonale IgM.
È una malattia rara (3 casi per milione per anno) più frequente nella razza caucasica e nel sesso maschile, con un’età media di insorgenza di circa 65 anni e sopravvivenza media di 5-10 anni.

Il principale fattore di rischio per lo sviluppo di MW è la preesistente presenza di MGUS di tipo IgM. Circa il 19% dei pazienti affetti presenta parenti di 1° grado con MW o altre neoplasie linfoidi a cellule B, suggerendo un possibile ruolo della familiarità. Il ruolo dell’infezione da HCV è invece ancora molto controverso.
L’anomalia citogenetica ricorrente più frequentemente riportata è la delezione del braccio lungo del cromosoma 6 ove è localizzato il gene oncosoppressore BLIMP-1. BLIMP-1 facilita la transizione da linfocita B maturo a plasmacellula e la sua delezione potrebbe predisporre allo sviluppo di MW. L’immunofenotipo dei linfociti neoplastici è positivo per i marcatori della linea B, ovvero CD19, CD20 e per le immunoglobuline di superficie IgM. Sebbene nella definizione diagnostica sia inclusa la negatività per CD5, CD10 e CD23, in alcuni casi è stata riportata la presenza di CD5 e CD23.
Le caratteristiche biologiche suggeriscono quindi che la MW derivi da un linfocita B agli ultimi stadi di differenziazione cellulare, ovvero prima della differenziazione terminale a plasmacellula.
Mediante studi di biologia molecolare è stata recentemente identificata la mutazione somatica MYD88 L265P in oltre il 90% dei pazienti con MW, che potrebbe rappresentare un evento oncogenico precoce nello sviluppo della malattia.

La MW ha un decorso clinico indolente e può essere asintomatica per un lungo periodo di tempo. Quando insorgono, i sintomi e i segni della malattia sono attribuibili all’infiltrazione tumorale e/o alla presenza della componente monoclonale IgM.
Negli stadi avanzati i linfoplasmociti tumorali invadono il midollo osseo in modo massivo causando citopenie, quali anemia e piastrinopenia. In particolare, l’anemia è l’indicatore più comune per l’inizio del trattamento. Altri segni abbastanza frequenti sono l’epatosplenomegalia e le linfadenopatie. Molto raramente sono state riportate le localizzazioni polmonari, gastroenteriche e della congiuntiva.
Le IgM, aumentando nel sangue, possono polimerizzare e formare aggregati con i globuli rossi causando l’iperviscosità sierica, caratteristica peculiare della MW. I sintomi da iperviscosità sono presenti solo nel 15% dei pazienti alla diagnosi e includono astenia, emorragie, manifestazioni cardiovascolari, oculari (riduzione del visus, emorragie retiniche) e neurologiche (cefalea, ronzii auricolari, turbe della memoria). Le anomalie dei tempi di sanguinamento e coagulazione dono dovute all’interazione tra le IgM e i fattori di coagulazione e/o le piastrine.
Le IgM possono anche depositarsi nel glomerulo renale, nell’intestino e nella cute causando rispettivamente proteinuria (l’insufficienza renale è rara), diarrea e papule o noduli cutanei.
In meno del 10% dei pazienti le IgM possono reagire con antigeni eritrocitari causando un’anemia emolitica autoimmune cronica da agglutinine fredde; in un ancor minor numero di casi si possono evidenziare attività anticorpali anti-mielina.

I criteri diagnostici per MW comprendono:
·         Presenza di componente monoclonale IgM
·         Infiltrazione midollare da parte di piccoli linfociti che mostrano differenziazione plasmocitoide o plasmacellulare
·         Infiltrazione alla biopsia osteo-midollare
·         Immunofenotipo positivo per IgM di superficie, CD19, CD20, e negativo per CD5, CD10 e CD23 (anche se non sono sempre assenti, come detto in precedenza)

La determinazione di una componente monoclonale di IgM senza infiltrazione midollare indica la presenza di MGUS IgM e, viceversa, l’infiltrazione midollare senza componente monoclonale pone diagnosi di linfoma linfoplasmocitico.

Gli esami necessari per la diagnosi, la stadiazione e la prognosi sono:
·         Esami ematici (elettroforesi delle proteine sieriche, emocromo, enzimi di funzionalità epatica e renale, β2microglobulina, LDH, proteina C reattiva e VES)
·         Proteinuria delle 24 ore e proteinuria di Bence-Jones delle 24 ore
·         Aspirato midollare e biopsia osteo-midollare
·         TC collo, torace e addome al fine di evidenziare linfadenomegalie e/o epatosplenomegalia
·         Vicosità sierica e visita oculistica se la componente monoclonale IgM è elevata o in presenza di sintomi o segni di iperviscosità

Il trattamento deve essere intrapreso in caso di malattia sintomatica, e non in base al livello della componente monoclonale. La terapia si basa sull’utilizzo di farmaci alchilanti, quali la ciclofosfamide e il clorambucile. Gli analoghi delle purine e il rituximab hanno prodotto un aumento delle risposte.


Crioglobulinemie
Con il termine di crioglobulinemie si intende uno spettro di condizioni caratterizzate dalla presenza nel siero di immunoglobuline monoclonali o policlonali che precipitano a una temperatura inferiore ai 37°C. la precipitazione è un fenomeno reversibile, ma le cause e i meccanismi che sottostanno a questo fenomeno sono tuttora poco chiari.
Sono stati identificati tre tipi di crioglobulinemie:
·         Crioglobulinemia di tipo 1 (15%) à caratterizzata dalla presenza di immunoglobuline monoclonali complete (solitamente IgM) o, meno frequentemente, da catene leggere libere
·         Crioglobulinemia di tipo 2 (50-60%) à caratterizzate da immunoglobuline policlonali IgG e immunoglobuline monoclonali IgM (dotate di attività simil fattore reumatoide: IgM contro il frammento Fc delle IgG)
·         Crioglobulinemia di tipo 3 (25-30%) à caratterizzata dalla presenza di immunoglobuline policlonali (tutti gli istotipi sono possibili)

Le crioglobuline di tipo 2 e 3 vengono anche definite crioglobulinemie miste. In passato veniva definita crioglobulinemia mista essenziale una forma di crioglobulinemia costituita prevalentemente da crioglobuline di tipo 2 e dalla presenza di segni e sintomi specifici (artralgie, porpora e marcata astenia) che recentemente si è dimostrato essere strettamente associata all’infezione da HCV.

L’identificazione delle crioglobulinemie richiede il prelievo di sangue intero che viene lasciato coagulare ad una temperatura di 37°C e successivamente centrifugato. Il campione centrifugato viene poi lasciato per circa una settimana ad una temperatura di 2-4°C. se presente, il crioprecipitato si formerà sul fondo del contenitore. Successivamente si effettua un’analisi immunoistochimica per confermare che si tratti di crioglobuline. Un’ulteriore conferma si ottiene dalla reversibilità del fenomeno dopo riscaldamento del campione. Segue un’ulteriore centrifugazione a 4°C per quantificare il criocrito ed infine si effettua un’elettroforesi ed immunoelettroforesi per tipizzare le crioglobuline e valutarne la clonalità.

Manifestazioni cliniche: il 20-50% dei pazienti è asintomatico alla diagnosi. Inoltre, le crioglobulinemie sono spesso associate ad altre patologie (infezioni, malattie autoimmuni, malattie ematologiche; il tipo 1 è inoltre frequentemente associato a disordini linfoproliferativi) dalle quali è spesso difficile distinguere la sintomatologia. Ad eccezione della triade della crioglobulinemia mista essenziale, non esistono sintomi specifici. Possono essere presenti infatti sintomi cutanei (porpora intermittente con lesioni palpabili, fenomeno di Raynaud), epatici (rialzo delle transaminasi, epatosplenomegalia), renali (proteinuria e/ ematuria) e neurologiche (coinvolgimento prevalentemente periferico). Spesso si manifestano anche fenomeni vasculitici e/o manifestazioni correlabili all’iperviscosità ematica.


In generale, il trattamento delle crioglobulinemie è marcatamente influenzato dalla patologia associata e dalla severità della sintomatologia. Nelle forme non associate ad infezione da HCV i trattamenti di scelta comprendono l’uso di corticosteroidi e immunosoppressori. Nelle forme in cui è contemporaneamente presente un’infezione da HCV sarebbe auspicabile l’eradicazione o comunque il controllo dell’infezione.

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