Anemie

L’anemia è una condizione congenita o acquisita caratterizzata dalla riduzione dei livelli di emoglobina (PM 64 kDa) al di sotto di circa 13,5 g/dL per i soggetti adulti di sesso maschile e di circa 12 g/dL per i soggetti adulti di sesso femminile. Convenzionalmente, l’anemia si intende lieve se i livelli di Hb si mantengono sopra i 10 g/dL, moderata se compresi tra 8 e 10 g/dL e severa se inferiori a 8 g/dL.
L’eritrone è l’unità anatomo-funzionale preposta al rinnovamento continuo dei globuli rossi. Giornalmente vengono prodotti circa 20-30 ml di eritrociti contenenti approssimativamente 7-8 g di emoglobina. In caso di necessità (emolisi, emorragie, ipossia) l’eritrone ha una riserva funzionale che consente di produrre 6-7 volte la quota di eritrociti e di emoglobina prodotti normalmente.

L’anemia deve innanzitutto essere diagnosticata come situazione caratterizzata da livelli di emoglobina inferiori alla norma. Per pianificare un approccio diagnostico specifico è assolutamente importante un’anamnesi accurata ed un dettagliato esame obiettivo. L’emorragia acuta è l’unica condizione in cui la perdita massiva di sangue è di per sé l’elemento diagnostico.
L’esame emocromocitometrico completo è l’esame che documenta la presenza o meno dell’anemia.
La presenza di alterazioni nel numero di leucociti e piastrine associate all’anemia indirizza verso una patologia primitiva del midollo osseo (leucemie acute e croniche, aplasia midollare, sindromi mielodisplastiche).
Il numero dei reticolociti è una stima della sopravvivenza eritrocitaria e della produzione midollare e rappresenta il punto di partenza per la diagnostica differenziale dell’anemia. È anche possibile identificare una sottopopolazione di reticolo citi immaturi caratterizzati da elevato contenuto di RNA; il rapporto tra numero di reticolo citi immaturi e numero totale di reticolo citi (indice di maturazione eritrocitaria) rappresenta un indicatore dello stato dell’eritropoiesi utile soprattutto per monitorare risposte terapeutiche.
Con l’esame emocromocitometrico si stabilisce la presenza di anemia e semplicemente interpretando il valore dei reticolociti e del MCV si può fare una prima distinzione tra:
·         Anemie da ridotta produzione (iporigenerative: reticolo citi inferiori alla norma)
o   Microcitiche sideropeniche e non sideropeniche (MCV < 82 fL)
o   Normocitiche (MCV 80-90 fL)
o   Macrocitiche (MCV > 95 fL)
·         Anemie da perdita o da aumentata distruzione delle emazie (reticolociti superiori alla norma)
o   Da emorragia
o   Emolitiche

Tra gli esami più semplici di grosso aiuto per entrare un po’ più specificamente nel dettaglio sono da considerare
·         Esame microscopico dello striscio di sangue periferico: molte anemie sono caratterizzate da specifiche alterazioni della struttura eritrocitaria (es cellule falciformi nella drepanocitosi; ellissociti nell’ellissocitosi; sferociti nella sferocitosi ereditaria e nelle anemie immunoemolitiche; cellule a bersaglio nelle talassemie, nell’HbC ed HbE; granulazioni basofile nelle talassemie ecc). Inoltre, l’analisi morfologica dello striscio di sangue periferico consente anche di riconoscere le anomalie dei leucociti e delle piastrine che possono essere espressione di patologie ematologiche sottostanti
·         Bilirubina totale e indiretta, aptoglobina: sono indici di emolisi (l’aptoglobina forma un complesso con l’Hb liberata dall’emolisi intravascolare, complesso che viene riconosciuto e rimosso dalle cellule del sistema reticolo-endoteliale del fegato)
·         Ferritina sierica: è un indice delle scorte di ferro dell’organismo


Anemie microcitiche

Anemia sideropenica
La sideropenia rappresenta una delle forme più rilevanti di malnutrizione. L’anemia sideropenica è un’anemia iporigenerativa microcitica ed ipocromica e rappresenta la forma più frequente in assoluto di anemia e la più frequente patologia ematologica. Interessa soprattutto i ceti meno abbienti, i bambini e le donne in età fertile.
La progressione verso la sideropenia può essere suddivisa in tre stadi:
·         Bilancio negativo del ferro (stadio 1, stadio di deplezione delle scorte marziali) à la richiesta di ferro (o la sua perdita) eccede le capacità dell’organismo di assorbire l’elemento dalla dieta. In queste condizioni il deficit di ferro deve essere compensato mediante mobilizzazione dai siti di deposito reticoloendoteliale (che quindi si riducono). Le alterazioni riscontrabili in questa fase comprendono
o   Riduzione dei depositi midollari di ferro (normalmente l’esame midollare non è necessario)
o   Riduzione della ferritina sierica
o   Aumento del TIBC (total iron-binding capacity)
·         Eritropoiesi sideropenica (stadio 2, stadio di esaurimento delle scorte marziali ed inizio di un’eritropoiesi ferro-carente) à le scorte di ferro si riducono ulteriormente fino ad esaurirsi ma la sintesi dell’emoglobina non è ancora compromessa (lo sarà nel momento in cui la saturazione della transferrina si riduce al 15-20%). Le alterazioni riscontrabili in questa fase comprendono
o   Esaurimento dei depositi midollari di ferro
o   Ulteriore riduzione della ferritina sierica
o   Ulteriore aumento del TIBC
o   Riduzione della sideremia
o   Riduzione della saturazione della transferrina
o   Riduzione della percentuale di sideroblasti midollari
o   Aumento della protoporfirina eritrocitaria (la protoporfirina costituisce un prodotto intermedio nel processo di sintesi dell’eme e si accumula all’interno dei globuli rossi tutte le volte che tale sintesi è alterata; ciò riflette un’inadeguata disponibilità di ferro ai precursori eritroidi al fine di una normale sintesi emoglobinica. Le cause più comuni di incremento dei livelli di protoporfirina eritrocitaria sono la sideropenia e l’avvelenamento da piombo)
·         Anemia sideropenica (stadio 3) à si riducono i valori emoglobinici e l’ematocrito. Le alterazioni riscontrabili in questa fase comprendono, oltre alle alterazioni dello stadio 2
o   Microcitosi
o   Ipocromia

Clinica: poiché la comparsa di anemia da carenza di ferro è un processo lento che passa attraverso la fase di semplice sideropenia caratterizzata dalla riduzione delle riserve di ferro, i sintomi tipici dello stato anemico (pallore, astenia, cardiopalmo, dispnea da sforzo) possono essere sfumati (o addirittura assenti) anche nelle forme più gravi in quanto la riduzione dei livelli emoglobinici si instaura in modo lento e progressivo. Nelle forme di più lunga durata si possono manifestare lesioni a carico della cute, degli annessi cutanei e delle mucose, quali fragilità dei capelli e delle unghie che possono assumere una forma concava (coilonichia), lingua liscia e arrossata con atrofia delle papille, cheilite angolare.

Diagnosi: la diagnosi di anemia sideropenica si basa sul riscontro di bassi livelli di ferritina sierica e su un incremento della capacità ferro-legante totale e una riduzione della sideremia con decremento della saturazione percentuale della transferrina. La sensibilità della ferritina sierica per la diagnosi di carenza marziale varia in funzione dei livelli di emoglobina (diminuisce con l’aumentare dei livelli di emoglobina). Il sTfR (recettore solubile della transferrina) sembra essere il migliore indicatore di uno stato di iniziale sideropenia senza anemia (poiché le cellule eritroidi presentano sulla loro superficie il più alto numero di recettori per la transferrina rispetto a qualsiasi altra cellula dell’organismo, e poiché tali recettori sono rilasciati dalle cellule nel torrente circolatorio, i livelli sierici di recettore della transferrina riflettono la massa totale  eritroide midollare) ed inoltre rispetto alla ferritina, ha il vantaggio di non essere soggetto alle modificazioni di fase acuta. Infatti, difficoltà diagnostiche potrebbero derivare dalla concomitanza di malattie infiammatorie o neoplastiche, in quanto in questi casi la ferritina, che si comporta come una proteina di fase acuta, può risultare normale o elevata anche in presenza di un reale stato di sideropenia. Il grado di anisopoichilocitosi, espresso dall’aumento dell’indice di distribuzione del volume eritrocitario (RDW) è proporzionale alla gravità dell’anemia; la morfologia eritrocitaria è caratterizzata da elementi piccoli ed ipocromici. La conferma diagnostica deriva dall’assenza di depositi midollari di ferro, ma normalmente l’esame midollare non è necessario. L’ulteriore conferma viene dalla risposta alla terapia marziale.
La diagnosi deve attivare la ricerca delle cause di carenza di ferro che sono rappresentate nella maggior parte dei casi nelle donne da aumentate perdite mestruali o nei soggetti adulti da perdite del tratto gastroenterico. Altre possibili cause sono rappresentate da aumentato fabbisogno (gravidanza, crescita) e da un ridotto apporto dietetico (dieta inadeguata, alterato assorbimento per celiachia, H. pylori ecc).

Diagnosi differenziale: nella diagnosi differenziale possono essere considerate le talassemie (ma in questo caso la sideremia e la saturazione della transferrina sono normali o aumentati e l’RDW è generalmente basso), l’anemia associata a malattie croniche (ma in questo caso i valori di ferritina sono normali o aumentati mentre la saturazione della transferrina e la TIBC sono ridotti) e le sindromi mielodisplastiche (ma i depositi di ferro in questo caso non sono alterati).
Una condizione particolare di anemia microcitica è l’IRIDA (iron refractory iron deficiency anemia), una forma autosomica recessiva che determina l’alterazione di una proteina importante nella down-regolazione dell’epcidina (proteina che determina l’internalizzazione della ferroportina). Il fenotipo di questo difetto è caratterizzato da anemia microcitica ipocromica, bassa saturazione della transferrina e normali o alti livelli di epcidina. La caratteristica principale è la mancata risposta alla terapia marziale per os (una parziale correzione dell’anemia si ottiene con la somministrazione di ferro per via endovenosa).

Terapia: una dieta adeguata è di solito sufficiente per le richieste fisiologiche di ferro a eccezione della gravidanza. Quando l’apporto dietetico non è sufficiente, è indispensabile integrare con ferro (la via orale di somministrazione è la prima scelta, quella endovenosa deve essere limitata alle situazioni di alterato assorbimento).


Emoglobinopatie
Le alterazioni che coinvolgono la struttura, la funzione o la produzione di emoglobina si definiscono emoglobinopatie. Si tratta solitamente di alterazioni congenite che possono presentare una gravità variabile, da alterazioni di laboratorio in pazienti asintomatici fino alla morte intrauterina. Le differenti forme possono presentarsi con anemia emolitica, eritrocitosi, cianosi o manifestazioni di tipo vaso-occlusivo.
Durante la vita embrionale, fetale e adulta sono prodotte Hb differenti. Ciascuna di esse è costituita da un tetramero di catene polipeptidiche di globina: la maggior parte dell’Hb dell’adulto, HbA, presenta una struttura α2β2 (una coppia di catene alfa ed una coppia di catene beta); l’HbF (α2γ2) è predominante durante la maggior parte del periodo gestazionale (piccole quantità di emoglobina fetale sono prodotte anche nella vita postnatale. Pochi cloni eritrocitari, definiti cellule F, rappresentano la progenie di un piccolo pool di precursori immaturi indirizzati in senso eritroide che mantengono la capacità di produrre HbF. Gravi stress eritroidi, come quelli che si osservano in corso di gravi anemie emolitiche, dopo un trapianto di midollo osseo e in corso di chemioterapia antineoplastica, provocano il reclutamento di un maggior numero di precuursori “F-potenti”. I livelli di HbF tendono ad innalzarsi anche nei pazienti affetti da drepanocitosi o talassemia), mentre l’HbA22δ2) rappresenta un’emoglobina minore nell’adulto. Ogni catena globinica racchiude un singolo gruppo eme; ogni gruppo eme può legare una singola molecola di ossigeno e ogni molecola di emoglobina può quindi trasportare fino a 4 molecole di ossigeno. A differenza delle singole catene globiniche, che sono insolubili, il tetramero di emoglobina è caratterizzato da un’elevata solubilità. Le catene globiniche singole, non appaiate, precipitano formando inclusioni che danneggiano la cellula.
La solubilità e la reversibilità del legame con l’ossigeno rappresentano le proprietà chiave che risultano compromesse nelle emoglobinopatie.
Le emoglobinopatie sono particolarmente comuni nelle aree di endemia malarica e si pensa che tali “foci” di emoglobinopatie riflettano un vantaggio selettivo dei globuli rossi anomali, che presumibilmente offrono un ambiente meno ospitale durante gli stadi obbligatoriamente intraeritrocitari del ciclo vitale del parassita. Le talassemie rappresentano la più comune alterazione genetica nel mondo, interessando quasi 200 milioni di persone in tutto il globo.  
La diagnosi per le varianti Hb più frequenti si basa per lo più sull’evidenziazione, mediante metodo elettroforetico dell’emolisato, di una banda emoglobinica a velocità di migrazione differente da quella delle frazioni normali dell’Hb. La valutazione di laboratorio deve rappresentare una modalità di conferma piuttosto che il primo livello di diagnosi. La diagnosi è quella che si basa sull’individuazione di un’anamnesi tipica e di reperti obiettivi, sullo studio morfologico di uno striscio di sangue periferico, nonché su anomalie all’esame emocromocitometrico (es estrema microcitosi associata a un minimo grado di anemia nel tratto talassemico).
·         Sindromi falciformi
o   Le sindromi falciformi sono causate da una mutazione del gene per la beta globina, caratterizzata dalla sostituzione del sesto aminoacido da acido glutammico a valina. Quando è deossigenata, l’HbS (α2β26GluàVal) polimerizza in modo reversibile formando una rete gelatinosa di polimeri fibrosi che rendono più rigida la membrana eritrocitaria, aumentano la viscosità e provocano disidratazione secondaria alla fuoriuscita di potassio e all’afflusso intracellulare di calcio, cambiamenti che peraltro sono alla base anche della caratteristica forma a falce. Gli elementi falciformi perdono la flessibilità necessaria all’attraversamento del letto capillare. Essi possiedono membrane alterate “adesive”, che presentano un’anomala adesività all’endotelio delle piccole venule. Tali anomalie provocano degli imprevedibili episodi di vaso-occlusione microvascolare e di distruzione eritrocitaria prematura (anemia emolitica), quest’ultima a causa della distruzione degli elementi anomali effettuata dalla milza. Questi elementi rigidi e adesivi ostruiscono inoltre i piccoli vasi venulari e capillari, provocando ischemia tissutale, dolore acuto e graduale danneggiamento degli organi terminali. La componente veno-occlusiva domina solitamente il decorso clinico. Le manifestazioni principali sono costituite da episodi di tipo ischemico (crisi dolorose) e da disfunzione, sempre su base ischemica, o infarto vero e proprio a livello della milza, del SNC, delle ossa, del fegato, dei reni e dei polmoni.
La patologia che costituisce il prototipo di queste sindromi è l’anemia a cellule falciformi (o drepanocitosi), caratterizzata dallo stato di omozigosi per l’HbS.
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche, la maggior parte dei pazienti affetti presenta anemia emolitica, con un ematocrito compreso tra il 15 e il 30% e una reticolocitosi significativa. La granulocitosi è frequente. La conta leucocitaria può fluttuare notevolmente e imprevedibilmente durante e tra le crisi dolorose, gli episodi infettivi e altre malattie intercorrenti. Le manifestazioni del fenomeno veno-occlusivo sono preteiformi; episodi intermittenti nelle strutture muscoloscheletriche e connettivali provocano un’ischemia che si manifesta con dolore acuto e dolenzia, febbre, tachicardia e stato ansioso. Tali episodi ricorrenti, definiti crisi dolorose, rappresentano le manifestazioni cliniche più comuni, la cui frequenza e gravità sono estremamente variabili. I microinfarti ripetuti possono distruggere i tessuti in cui sia presente un letto microvascolare che faciliti la falcizzazione. Per tale motivo la milza è spesso funzionalmente persa entro i primi 18-36 mesidi vita, con conseguente suscettibilità alle infezioni, soprattutto da pneumococchi. L’occlusione dei vasi retinici può causare emorragie, neovascolarizzazione e da ultimo distacco di retina. La necrosi papillare renale produce invariabilmente isostenuria (basso PS delle urine) e le necrosi renali più estese esitano solitamente in insufficienza renale nell’adulto. L’ischemia in sede ossea e articolare può essere alla base di necrosi asettica, di artropatia cronica e di una particolare suscettibilità all’osteomielite. La sindrome mano-piede è causata da infarti dolorosi delle dita e dattilite. L’ictus è frequente soprattutto nei bambini. Una particolare complicanza dolorosa nel maschio è il priapismo, causato dall’ostruzione dell’efflusso venoso del pene, a cui consegue frequentemente un’impotenza permanente. La formazione di ulcere croniche agli arti inferiori è probabilmente una conseguenza dell’ischemia e della sovrainfezione del letto circolatorio distale. La sindrome toracica acuta è una manifestazione peculiare caratterizzata da dolore toracico, tachipnea, febbre, tosse e desaturazione arteriosa di ossigeno. Si ritiene che la sindrome rifletta una falcizzazione in situ a livello polmonare, che genera dolore e una temporanea disfunzione polmonare. È spesso difficile, o addirittura impossibile, distinguerla da altre patologie. Le crisi polmonari acute o subacute portano a ipertensione polmonare e a cuore polmonare, una causa di morte in aumento da quando i pazienti sopravvivono più a lungo.
·         Sindromi talassemiche
o   Gruppo eterogeneo di anemia microcitiche ereditarie, causate da difetti molecolari che determinano un’insufficiente o mancata sintesi di uno o più catene emoglobiniche (alfa, beta, delta). La ridotta produzione di emoglobina e l’eccesso di catene libere che, in assenza della catena globinica corrispondente, precipitano negli eritroblasti danneggiando la membrana cellulare, determinano un quadro di eritropoiesi inefficace con iperemolisi midollare e periferica.
Nel bacino del mediterraneo le forme più comuni sono le beta talassemie. Poiché il difetto di sintesi della globina beta è autosomico recessivo, si devono distinguere le forme eterozigote (talassemia minor o portatore sano), omozigote (talassemia major o morbo di Cooley) ed intermedia.
Le forme di beta talassemia clinicamente rilevanti sono le forme intermedie e le major (la talassemia minor non ha rilevanza clinica ma è estremamente importante per la diffusione della malattia). Queste sono molto eterogenee sia come genotipo che come fenotipo: sono infatti condizioni di omozigosi o di doppia eterozigosi per difetti talassemici severi (beta0) o per difetti talassemici lievi (beta+). Le forme major si manifestano normalmente entro il primo anno di vita con grave anemia da eritropoiesi inefficace e splenomegalia e diventano trasfusione-dipendenti. Una forma talassemica si definisce intermedia dal punto di vista clinico, quando si rilevi un’anemia cronica tra 7-10 g/dL di Hb che si mantiene spontaneamente senza un fabbisogno trasfusionale continuo, in presenza di splenomegalia. La definizione clinica di talassemia intermedia racchiude un ampio spettro di composti genetici in cui sono implicati almeno 2 difetti talassemici per lo più lievi (beta+) e/o la presenza associata di un difetto che riequilibra in parte lo sbilanciamento globinico. La fisiopatologia del danno eritropoietico nelle sindromi talassemiche è infatti riconducibile all’entità di globine libere all’interno della cellula eritroide che precipitano determinando un danno ossidativo di membrana con conseguente distruzione intra-midollare (eritropoiesi inefficace) e periferica (emolisi); pertanto ogni fattore che bilanci, ameno in parte, il deficit di alfa o beta globine ha l’effetto di migliorare il quadro clinico.
Le alfa talassemie sono più comuni nel sud-est asiatico (i geni alfa sono presenti in due copie su ciascun allele). Le forme più comuni sono il tratto alfa-talassemico-2, in cui è deleto uno dei quattro loci dell’alfa globina, il tratto alfa-talassemico-1, in cui sono deleti due loci, la malattia da HbH, con delezione di tre loci ed infine l’idrope fetale con emoglobina di Barts, per la delezione di tutti e quattro i loci. Dal punto di vista clinico le forme rilevanti di alfa talassemia sono la malattia da HbH (genotipicamente è caratterizzata da un solo gene alfa residuo funzionante e clinicamente è simile alle forme intermedie di beta talassemia) e l’idrope fetale (si verifica assenza totale della sintesi di alfa globina e, successivamente allo stato embrionale, non viene prodotta alcuna forma di emoglobina utile da un punto di vista fisiologico. L’eccesso di gamma globina forma tetrameri definiti Hb di Barts che possiedono un’altissima affinità per l’ossigeno. Ai tessuti fetali si ha pertanto una cessione di ossigeno quasi nulla, con conseguente asfissia tissutale, edema o idrope fetale, insufficienza cardiaca congestizia e morte in utero), in quanto il tratto alfa-talassemico-2 è uno stato di portatore silente ed il tratto alfa-talassemico-1 è simile alla beta talassemia minor.
Per le forme clinicamente rilevanti di talassemia, sia beta che alfa, il quadro clinico nel corso degli anni si complica con il coinvolgimento di vari organi (cuore, fegato, ghiandole endocrine) soprattutto per il danno tossico conseguente all’accumulo di ferro trasfusionale. Per questo motivo è essenziale definire sin dalla diagnosi una adeguata terapia trasfusionale associata ad adeguata terapia ferro chelante e monitorare l’eventuale danno d’organo. Nel caso delle forme intermedie non trasfusione-dipendenti, si realizza comunque, seppur più lentamente, un accumulo di ferro per aumentato assorbimento e pertanto anche in questo caso è necessario monitorare l’accumulo di ferro ed intervenire quando necessario con la terapia ferrochelante. Oltre alla ferritina come indicatore indiretto del sovraccarico di ferro, oggi è possibile quantizzare direttamente mediante RMN l’entità dell’accumulo di ferro nel cuore, nel fegato ed anche nel pancreas.
Il grave stato anemico che consegue le forme talassemiche più gravi stimola il rilascio di EPO ed un’iperplasia eritroide compensatoria, ma la risposta midollare è compromessa a causa dell’eritropoiesi inefficace (i tetrameri di emoglobina non si riescono a formare). Poiché l’anemia persiste, l’iperplasia eritroide può diventare esuberante e provocare la produzione di masse di tessuto eritropoietico extramidollare in sede epatica e splenica. La massiva espansione midollare altera la crescita e lo sviluppo. I bambini sviluppano la caratteristica facies da scoiattolo striato (facies microcitemica) dovuta all’iperplasia eritroide mascellare e alla protuberanza frontale. Possono manifestarsi assottigliamento e fratture patologiche a carico delle ossa lunghe e delle vertebre, dovute all’invasione corticale da parte degli elementi eritroidi, oltre che un grave ritardo della crescita.
Terapia: le forme di talassemia eterozigote non richiedono terapia se non un periodico supporto con acido folico. Le forme di talassemia major richiedono invece un regolare regime trasfusionale. Il trapianto di midollo può essere considerato un approccio terapeutico risolutivo per i pazienti che abbiano un donatore HLA identico ed un quadro clinico senza significative complicanze d’organo (la diagnosi prenatale praticabile mediante analisi di DNA sui villi coriali ha significativamente ridotto le nascite di soggetti affetti da sindromi talassemiche).
·         Emoglobinopatie acquisite
o   Le due più importanti emoglobinopatie acquisite sono l’avvelenamento da monossido di carbonio e la metaemoglobina. Il monossido di carbonio ha una più elevata affinità per l’Hb rispetto all’ossigeno e può così sostituirlo nel legame, con la conseguenza finale di una minore cessione di ossigeno ai tessuti. L’incremento cronico dei livelli di carbossiemoglobina al 10-15%, come si osserva nei fumatori, può causare policitemia secondaria. La carbossiemoglobina ha un colore rosso ciliegia e maschera lo sviluppo di cianosi che di solito si associa a una scarsa cessione di ossigeno ai tessuti. La metaemoglobinemia è invece generata dall’ossidazione della molecola ferrolegata dell’eme che passa quindi allo stato ferrico, provocando un caratteristico colore marrone-bluastro, con tendenza al grigio, simile a quello cianotico. L’affinità per l’ossigeno della metaemoglobina è talmente elevata che in pratica non avviene cessione di ossigeno ai tessuti. La forma acquisita della metaemoglobinemia (esistono anche forme congenite causate da mutazioni globiniche che stabilizzano il ferro allo stato ferrico oppure da mutazioni che alterano gli enzimi che riducono la metaemoglobina e emoglobina) è causata da tossine che ossidano il ferro emico, in particolare i nitrati e i composti contenenti nitriti (compresi farmaci di comune utilizzo in cardiologia e anestesiologia).


Anemie iporigenerative normocrocitiche

Nelle anemie iporigenerative normocitiche rientrano la maggior parte delle anemie associate a patologie intrinseche come le malattie infiammatorie croniche, le neoplasie, l’insufficienza renale cronica, alcune endocrinopatie (ipotiroidismo, insufficienza surrenalica) e in alcuni casi le sideroblastiche che possono anche essere di tipo microcitico. Se appropriate indagini cliniche e laboratoristiche escludono la presenza di una patologia internistica sottostante, è opportuno procedere all’esame del midollo osseo mediante mieloaspirato e biopsia ossea che permettono di diagnosticare anemie da insufficienza midollare primitiva (forme aplastiche e diseritropoietiche, mielodisplasie, mielofibrosi) o secondaria ad invasione neoplastica (mieloftisi).

Anemia da flogosi
È una delle più comuni forme di anemia osservate in clinica; rappresenta inoltre la patologia più importante nella diagnostica differenziale della sideropenia, dal momento che molte delle caratteristiche dell’anemia derivano da un inadeguato rilascio di ferro al midollo (quindi può anche essere microcitica) nonostante la presenza di depositi normali o addirittura aumentati. Gli elementi più significativi sono una ridotta sideremia, incremento della protoporfirina eritrocitaria, un midollo ipoproliferativo (il numero di reticolociti non è appropriato per il grado di anemia), una saturazione della transferrina compresa tra il 15 e il 20% e una ferritina sierica normale o aumentata. Quest’ultima rappresenta spesso il parametro che permette la migliore distinzione tra la vera anemia sideropenica e l’eritropoiesi sideropenica associata a flogosi.
I meccanismi patogenetici alla base di questo tipo di anemia sono mediati da alcune citochine, in particolare TNFα, IL-1, IL-6 e IFNγ che determinano una ridotta produzione di EPO, una difettosa risposta allo stimolo eritropoietico da parte dei precursori eritroidi ed un blocco del rilascio di ferro da parte delle cellule del sistema reticolo endoteliale. Particolare importanza è inoltre attribuita all’epcidina la quale, aumentando in corso di flogosi, agisce sia sopprimendo l’assorbimento del ferro sia il suo rilascio dalle sedi di deposito.
Terapia: benchè la sideremia sia bassa, la somministrazione di ferro non è l’approccio terapeutico corretto in quanto il ferro verrebbe trattenuto all’interno dei macrofagi e non adeguatamente utilizzato. La somministrazione di ferro è indicata quando all’anemia da stato infiammatorio si associ una reale sideropenia come nel caso di neoplasie con microsanguinamenti. Molti pazienti affetti da anemia ipoproliferativa presentano una risoluzione dello stato anemicoquando la patologia sottostante è adeguatamente trattata. Per i casi in cui ciò non sia possibile, i due approcci terapeutici principali consistono nella terapia trasfusionale e nella somministrazione di EPO ricombinante.


Anemie sideroblastiche
Gruppo eterogeneo di anemie dovute ad un difetto di sintesi dell’eme. Si distinguono forme congenite e acquisite, entrambe caratterizzate da eritropoiesi inefficace e presenza nel midollo osseo di eritroblasti infarciti di granuli siderotici disposti a corona intorno al nucleo (si parla infatti di sideroblasti ad anello). Si manifesta con anemia normo/microcitica e ipocromica con spiccata anisopoichilocitosi, numero ridotto di reticolociti, sideremia elevata, transferrina bassa e livelli di ferritina sierica molto elevati (è inoltre presente splenomegalia). La diagnosi si basa sul riscontro di sideroblasti ad anello nel midollo.
La terapia è in funzione della gravità dell’anemia; molto spesso è necessario ricorrere alla terapia trasfusionale (associata a terapia ferrochelante).


Aplasia eritrocitaria pura (aplasia pura della serie rossa, PRCA)
È inquadrabile tra le malattie autoimmuni essendo state identificate IgG ad attività antieritropoietinica o inibente la sintesi dell’eme (possono rispondere a terapie immunosoppressive). È caratterizzata da anemia severa, reticolociti <1% e riduzione o assenza dei precursori eritroidi midollari. Si riconoscono una forma congenita (malattia di Diamond-Blackfan) che si manifesta nelle prime settimane di vita e si associa a malformazioni somatiche e, più raramente, a ritardo mentale; e forme acquisite, a loro volta distinte in acute (possono comparire sia in età pediatrica che in età adulta e sono dovute a transitoria eritroblastopenia che può insorgere in corso di malattie emolitiche croniche quali la sferocitosi ereditaria, oppure in corso di malattie infettive come l’infezione cronica da Parvovirus B19, virus comune che causa un esantema benigno, la quinta malattia, nel bambino e una sindrome poliartralgia/artrite nell’adulto ma che, in soggetti immunocompromessi, può divenire persistente) e croniche (quasi esclusive dell’età adulta, si associano a timoma, artrite reumatoide, LES, leucemia linfatica cronica ecc).
Nella maggior parte dei casi si instaura una terapia trasfusionale con associata terapia ferrochelante. La maggior parte dei pazienti è trattata inizialmente con glucocorticoidi, ma si sono rivelati efficaci anche ciclosporina, azatioprina, globulina anti-timociti (ATG), ciclofosfamide ed mAb contro recettori di IL-2 (come daclizumab e basiliximab).


Anemia aplastica (aplasia midollare)
Raro disordine ematopoietico caratterizzato da pancitopenia e netta riduzione o assenza del tessuto midollare ematopoietico, sostituito da quello adiposo. È una malattia rara, con incidenza crescente fino ai 20 anni, plateau tra i 20 e i 60 anni e successivo incremento dopo i 60 anni. Condizione necessaria per la diagnosi è la presenza di pancitopenia e la biopsia ossea rappresenta l’esame diagnostico fondamentale. Può essere difficile la diagnosi differenziale con l’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) e con le mielodisplasie ipocellulari (sindromi mielodisplastiche, SMD). In alcuni casi di aplasia midollare si è osservata nel decorso clinico la comparsa di manifestazioni cliniche caratteristiche dell’EPN (perché si sviluppi una EPN è necessaria una mutazione acquisita del gene PIG-A nella cellula staminale emopoietica. Se la cellula staminale con mutazioni di PIG-A prolifera, ne risulta una progenie clonale deficitaria per il glicosilfosfatidilinositolo legato alle proteine superficiali della membrana cellulare); d’altro canto alcuni pazienti con EPN hanno un’evoluzione verso una forma aplastica. La maggior parte dei casi di sindrome mielodisplastica presenta midollo iper o normocellulare; esiste tuttavia una minoranza con ipocellularità midollare. In questi casi il riscontro di anomalie citogenetiche tipiche delle forme mielodisplastiche permette una diagnostica accurata.
L’eziologia è molto variegata: l’aplasia midollare costituisce la più importante sequela acuta dell’esposizione a radiazioni e rappresenta inoltre il principale effetto tossico per molti farmaci chemioterapici tradizionali (gli effetti sono dose-dipendenti). Molti composti chimici, tra i quali ad esempio il benzene, sono in grado di provocare danno midollare. Un importante ruolo eziopatologico sembra essere svolto dalle infezioni; l’epatite rappresenta l’infezione antecedente più comune e la depressione midollare postepatitica rende conto di circa il 5% delle eziologie in numerose casistiche. L’epatite è quasi sempre sieronegativa (non A, non B, non C) e presumibilmente dovuta ad un agente virale non ancora identificato (tra le epatiti sieropositive, la correlazione maggiore sembra essere con la forma C). Il parvovirus B19 di solito (ma non sempre) non provoca depressione midollare totale (così come HIV, EBV e CMV). L’aplasia è inoltre la più importante conseguenza mortale della malattia del trapianto contro l’ospite associata a trasfusione (graft-versus-host disease, GVHD) in seguito all’infusione di emoderivati non irradiati a pazienti immunodepressi. Infine, un ruolo centrale sembra essere svolto dal sistema immunitario; nei pazienti affetti da anemia aplastica è stato osservato infatti un aumento del numero di cellule T citotossiche attivate, che di solito si riducono con una terapia immunosoppressiva efficace (inoltre la rimozione di cellule T da un midollo aplastico migliora la formazione di colonie in vitro).
Per quanto riguarda le alterazioni congenite, l’anemia di Fanconi, una patologia autosomica recessiva, si manifesta con anomalie congenite dello sviluppo, pancitopenia progressiva e aumentato rischio di neoplasie. I cromosomi dei pazienti affetti sono caratteristicamente suscettibili alle sostanze in grado di provocare cross-linking del DNA. I pazienti affetti sono caratteristicamente di bassa statura, presentano macchie cutanee color caffè-latte, nonché anomalie a livello dei pollici, del radio e dell’apparato genitourinario. Sono stati definiti almeno 12 difetti genetici, il più comune dei quali, responsabile dell’anemia di Fanconi di tipo A, è dovuto a una mutazione del gene FANCA. La discheratosi congenita è invece caratterizzata da leucoplachia (caratteristica placca bianca che si forma soprattutto nella cavità orale a causa di una eccessiva ed anomala cheratinizzazione dell’epitelio) delle mucose, distrofia ungueale, iperpigmentazione reticolare e sviluppo di anemia aplastica nell’infanzia. È determinata da mutazioni nei geni per il complesso di riparazione dei telomeri, necessario per il mantenimento della lunghezza telomerica durante la replicazione cellulare. 
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche, l’anemia aplastica può manifestarsi sia con un esordio acuto sia con un inizio più insidioso. Il sanguinamento è il sintomo iniziale più comune. Nell’arco dei giorni o delle settimane precedenti i pazienti possono riferire facilità alle ecchimosi, sanguinamento dalle gengive o dal naso, intenso flusso mestruale e talvolta petecchie. Sono parimenti frequenti i sintomi dell’anemia, con debolezza, astenia dispnea e acufeni. Un episodio infettivo è invece inusuale come prima manifestazione. Un aspetto sorprendente dell’anemia aplastica è la limitazione della sintomatologia al compartimento ematologico: spesso i pazienti riferiscono e dimostrano uno stato di benessere nonostante l’importante citopenia, mentre la presenza di sintomi sistemici o di calo ponderale deve far pensare ad altre cause di pancitopenia.
La mortalità globale è del 70% e la sopravvivenza media è di 12 mesi.
La terapia trasfusionale cronica è spesso l’unica soluzione (qualche paziente ha riportato un beneficio grazie all’uso di androgeni che aumentano la produzione di EPO). Può essere considerato il trapianto di midollo osseo.


Anemie diseritropoietiche congenite (CDA)
Gruppo raro ed eterogeneo di anemie caratterizzate da eritropoiesi inefficace ed alterazioni morfologiche dei precursori eritroidi. L’osservazione dello striscio midollare costituisce il principale mezzo per poter fare diagnosi. Esistono dei segni e sintomi clinici suggestivi di una condizione di diseritrpoiesi congenita: un’anemia congenita non associata a neutropenia o trombocitopenia. Ciò si caratterizza per l’evidenza di un’aumentata eritropoiesi inefficace, dimostrata da una conta reticolocitaria insolitamente bassa in relazione ai livelli di emoglobina, un aumento della bilirubina non coniugata ed un aumento della timidino-chinasi sierica, enzima che viene liberato dalla lisi degli eritroblasti. Inoltre si osservano eritroblasti morfologicamente abnormi ed un accumulo di ferro (emosiderosi). Esistono molte varianti di CDA che tuttavia presentano caratteristiche comuni come l’ittero, l’epatosplenomegalia, l’anemia normo o microcitica con spiccate alterazioni morfologiche delle emazie (anisopoichilocitosi, schistociti, emazie a bersaglio), reticolocitosi modesta o comunque non adeguata rispetto ai livelli di anemia, saturazione della transferrina e ferritinemia elevate.
Per quanto riguarda la terapia taluni pazienti raggiungono l’età adulta prima di iniziare un regime trasfusionale che poi diventa cronico, altri iniziano la terapia trasfusionale fin dall’infanzia.


Anemie iporigenerative macrocitiche

Le anemie iporigenerativa macrocitiche sono un gruppo di patologie caratterizzate dalla presenza di peculiari aspetti morfologici a carico della linea eritrocitaria. La causa è di solito un deficit di cobalamina (vitamina B12) o folato. Il reperto comune a tutte le anemie megaloblastiche è il difetto di sintesi del DNA a carico delle cellule midollari in rapida replicazione. Tutte le condizioni che danno origine ad alterazioni di tipo megaloblastico sono caratterizzate da una discrepanza tra velocità di sintesi o disponibilità dei quattro precursori immediati del DNA (adenina, guanina, citosina e timina).
Analisi del sangue periferico: macrociti di forma ovale, di solito caratterizzati da notevole anisocitosi e poichilocitosi, costituiscono la caratteristica principale. Il valore di MCV è di solito superiore a 100 fL, a meno che sia concomitante una causa di microcitosi (es sideropenia o tratto talassemico). Alcuni neutrofili sono ipersegmentati (più di 5 lobi nucleari). Possono osservarsi leucopenia ed una modesta piastrinopenia. La gravità di tutte queste alterazioni decorre parallelamente al grado di anemia. Nel paziente non anemico, la presenza di pochi elementi macrocitici e di neutrofili ipersegmentati nel sangue periferico può rappresentare l’unico reperto indicativo.
Analisi del midollo osseo: nel paziente gravemente anemico il midollo è ipercellulare, con accumulo di precursori emopoietici dovuto alla morte selettiva per apoptosi delle forme più mature. Le cellule sono più grandi rispetto ai normoblasti e molte di esse mostrano nuclei eccentrici lobulati o frammenti nucleari. Sono inoltre presenti caratteristici metamielociti giganti e di forma anomala e magacariociti di grandi dimensioni e iperpoliploidi. Nei pazienti meno anemici può essere difficile riconoscere la presenza di alterazioni midollari.
La diagnosi nei pazienti asintomatici si basa sull’aumento del volume corpuscolare medio (MCV) all’esame emocromocitometrico, mentre nei casi più gravi i sintomi sono quelli dell’anemia. Frequentemente vi è una marcata anoressia e possono associarsi calo ponderale, diarrea o stipsi. Sia nel deficit di folati sia in quello di cobalamina possono inoltre manifestarsi glossite, cheilite angolare, febbricola, ittero per accumulo di bilirubina non coniugata nel plasma, dovuta a morte di eritrociti nucleati nel midollo osseo (eritropoiesi inefficace) e un’iperpigmentazione cutanea reversibile (dopo il midollo osseo infatti, i tessuti più colpiti sono le mucose del cavo orale, dello stomaco, dell’intestino tenue e degli apparati respiratorio, urinario e genitale femminile). La trombocitopenia può talora essere responsabile di ecchimosi, aggravate dal contemporaneo deficit di vitamina C o dall’alcol nei pazienti con malnutrizione. Lo stato anemico e la leucopenia predispongono il paziente alle infezioni, soprattutto a carico delle vie respiratorie e urinarie. Il deficit di cobalamina è stato anche associato a una ridotta funzione battericida dei fagociti. Infine, il deficit di cobalamina può causare una neuropatia periferica bilaterale o la degenerazione (demielinizzazione) dei fasci posteriori e di quelli piramidali del midollo spinale, oltre che, con minore frequenza, atrofia ottica o sintomi cerebrali. I disturbi psichiatrici sono invece comuni sia nel deficit di folati sia in quello di cobalamina (soprattutto nei pazienti anziani).


Anemia megaloblastica macrocitica da deficit di vitamina B12
Il deficit di vitamina B12 è di solito secondario a malassorbimento o a un inadeguato apporto con la dieta. Per quanto riguarda la dieta, il deficit di cobalamina si può manifestare nei soggetti vegetariani stretti e vegani o, più raramente, in soggetti non vegetariani per grave malnutrizione secondaria a povertà o disturbi psichiatrici. Il malassorbimento, gastrico o intestinale, rappresenta comunque la causa più frequente di deficit di cobalamina. Ciò può verificarsi per deficit di fattore intrinseco (anemia perniciosa, gastrectomia ecc), patologia ileale (ileite terminale, resezione ileale ecc), pancreatite cronica grave (si ritiene che in tale affezione l’assenza di tripsina provochi il legame della cobalamina alimentare con una molecola gastrica diversa dal fattore intrinseco, non rendendola disponibile per l’assorbimento), aumentato consumo da parte di microrganismi intestinali (ad esempio nell’infestazione del parassita dei pesci), sindrome di Imerslund (malattia autosomica recessiva caratterizzata da malassorbimento selettivo di cobalamina, nonostante la presenza di fattore intrinseco, e proteinuria).
La patologia più conosciuta secondaria a malassorbimento di vitamina B12 è l’anemia perniciosa, malattia caratterizzata da grave carenza di fattore intrinseco secondaria ad atrofia gastrica. Nell’anemia perniciosa si evidenzia una grave riduzione della secrezione gastrica di acido cloridrico, pepsina e fattore intrinseco, mentre nel plasma si osservano aumentati livelli di gastrina e ridotti livelli di pepsinogeno I. A livello bioptico il reperto più comune è l’atrofia di tutti gli strati a livello di corpo e fondo dello stomaco, con perdita di elementi ghiandolari, assenza di cellule parietali e principali, sostituite da cellule mucipare, infiltrato infiammatorio misto e, talora, metaplasia intestinale. Nel siero possono essere riscontrati due tipi di anticorpi di classe IgG ad attività anti fattore intrinseco. Il primo, definito “di blocco” o di tipo 1, impedisce l’associazione tra fattore intrinseco e cobalamina, mentre il secondo, di “legame” o di tipo 2, impedisce il legame del fattore intrinseco alla mucosa ileale. I pazienti affetti da anemia perniciosa possono mostrare anche un’immunità cellulo-mediata diretta contro il fattore intrinseco. Anticorpi anti cellule parietali sono inoltre presenti nel siero di quasi il 90% dei soggetti adulti affetti da anemia perniciosa, sebbene questi anticorpi siano di frequente riscontro anche in altri soggetti.
La diagnosi di carenza di vitamina B12 si pone sulla base del quadro clinico ed ematologico (anemia macrocitica) e del dosaggio di vitamina B12 nel siero. Il midollo presenta caratteristiche alterazioni megaloblastiche espressione dell’asincronia maturativa nucleo-citoplasma.
La terapia dell’anemia da carenza di B12 è quella sostitutiva con specifica correzione della causa.


Anemia megaloblastica macrocitica da deficit di folati
Le cause più comuni di carenza di folati comprendono un’insufficiente introduzione (anziani e alcolisti), un’insufficiente assorbimento (sprue tropicale, enteropatia da glutine, alcolismo), un aumentato consumo (gravidanza, allattamento) ed un alterato metabolismo (farmaci inibitori della diidrofolato reduttasi come trimetoprim e metotrexato).
Il quadro clinico ed ematologico è molto simile a quello di deficit di vitamina B12 e la diagnosi viene effettuata con il dosaggio dei folati plasmatici e, possibilmente, di quelli intreritrocitari.
La terapia è di tipo sostitutivo con folati.



Anemia da aumentata distruzione delle emazie

Si distinguono le anemie secondarie a emorragia acuta e le anemie emolitiche. In entrambi i casi l’anemia è secondaria ad un’eccessiva perdita di emazie dal torrente circolatorio, quindi la produzione midollare, in assenza di coesistenti patologie del midollo stesso, risulta generalmente aumentata, come dimostrato dalla reticolocitosi (reticolociti >1,5%).

Le anemie emolitiche sono nella maggior parte dei casi normocromiche/normocitiche ma, in caso di spiccata reticolocitosi, possono essere lievemente macrocitiche. Esse possono essere acute o croniche (un paziente con anemia emolitica autoimmune o con favismo può costituire un’emergenza medica, mentre in un paziente con una lieve forma di sferocitosi ereditaria la diagnosi può essere fatta anche dopo anni), congenite o acquisite, primitive o secondarie. Una componente emolitica è presente anche in alcune anemie caratterizzate da diseritropoiesi, come le talassemie, l’anemia perniciosa, le anemie diseritropoietiche congenite ed acquisite.
Gli elementi diagnostici comuni a tutte le forme di emolisi sono:
·         Aumento dei reticolociti (espressione di una risposta compensatoria da parte del midollo)
·         Aumento della bilirubina indiretta (nelle condizioni croniche questa caratteristica favorisce la formazione di calcoli biliari)
·         Aumento delle LDH (addirittura fino a 10 volte in caso di emolisi intravascolare)
·         Riduzione dell’aptoglobina (se l’emolisi è in parte intravascolare)
·         Riduzione della vita media delle emazie
·         Urobilinuria
·         Emoglobinuria (in caso di emolisi prevalentemente intravascolare)

A livello clinico il segno principale è l’ittero, inoltre il paziente può riferire un’alterata colorazione delle urine. In molti casi la milza è aumentata di volume (e come conseguenza si possono verificare neutropenia e/o trombocitopenia), in quanto sede preferenziale del processo emolitico, e in alcuni casi si può osservare epatomegalia. In tutte le forme ereditarie gravi possono essere presenti alterazioni scheletriche (es bozzature craniche) dovute a un’iperattività midollare (sebbene esse non siano mai così gravi come nella talassemia).
La distruzione degli eritrociti costituisce un potente stimolo per l’eritropoiesi (mediata dall’EPO prodotta dal rene). Il meccanismo è talmente efficace che in molti casi può compensare completamente un’aumentata distruzione eritrocitaria, condizione definita emolisi compensata. Questo concetto è importante sia dal punto di vista diagnostico, poiché un paziente in cui vi sia una causa di emolisi, anche ereditaria, può non manifestare anemia, sia dal punto di vista del trattamento, poiché un’emolisi compensata può scompensarsi in alcune circostanze (gravidanza, deficit di folati, insufficienza renale ecc).

Una volta stabilita la natura emolitica dell’anemia, è molto importante identificare la causa perché ciò ha implicazioni terapeutiche diverse. L’anamnesi familiare, le origini geografiche e la storia clinica del paziente, più che in ogni altra forma di anemia, sono un primo elemento di grande aiuto per porre in diagnostica differenziale una forma di emolisi acuta o cronica, congenita o acquisita. È importante acquisire informazioni circa la possibile associazione dell’evento emolitico con fattori esterni come esposizione al freddo, assunzione di cibi, farmaci o sostanze potenzialmente emolitiche, trasfusioni, infezioni. L’esame microscopico delle emazie è inoltre un elemento importante che può evidenziare alterazioni morfologiche dei globuli rossi che possono indirizzare per anemia emolitica da difetti di membrana eritrocitaria quali la sferocitosi o l’ellissocitosi. Il test dell’antiglobulina (test di Coombs) che si basa sulla dimostrazione di anticorpi antieritrocitari e delle frazioni del complemento sulla superficie eritrocitaria e nel siero è la conferma diagnostica di anemia emolitica immune.


Anemia emolitica da difetti della membrana eritrocitaria
L’articolata architettura della membrana eritrocitaria è complessa, anche se la sua struttura di base è relativamente semplice. Il complesso membrana-citoscheletro è talmente integrato che un’anomalia a carico di uno qualsiasi dei suoi componenti avrà effetti disturbanti o distruttivi, provocando un’insufficienza strutturale che alla fine determinerà emolisi. Tali anomalie sono quasi invariabilmente mutazioni congenite, tanto che le malattie del complesso membrana-citoscheletro rientrano nella categoria delle anemie emolitiche congenite. Prima di andare incontro alla lisi, l’eritrocita mostra spesso alterazioni morfologiche più o meno specifiche che alterano il normale aspetto a disco biconcavo. Le più importanti malattie in questo gruppo sono la sferocitosi ereditaria e la ellissocitosi ereditaria.
La sferocitosi ereditaria presenta un ampio spettro di gravità clinica (da emolisi compensata a gravi stati anemici). I reperti clinici principali sono ittero, splenomegalia e spesso colelitiasi (proprio quest’ultima, in un soggetto di giovane età, è spesso l’elemento iniziale da cui originano le indagini diagnostiche). Nella maggior parte dei casi, la conferma diagnostica può essere effettuata sulla base della morfologia eritrocitaria e dal test di fragilità osmotica (metodo di lisi in glicerolo e sua variante a pH acido). In alcuni casi la diagnosi definitiva può essere ottenuta solo grazie a studi molecolari dimostranti una mutazione in uno dei geni coinvolti nel processo patogenetico.
L’ellissocitosi ereditaria è eterogenea almeno quanto la sferocitosi, sia dal punto di vista genetico che clinico. Non esiste una diretta correlazione tra la morfologia ellissoidale e la gravità clinica (ad esempio, in alcune forme lievi possono osservarsi quasi il 100% di ellissociti e viceversa). In questa patologia la resistenza osmotica è meno utile in termini diagnostici, mentre è molto importante l’osservazione attenta della morfologia eritrocitaria.
La complicanza clinica più comune della sferocitosi e dell’ellissocitosi è la formazione di calcoli in colecisti; la più grave, ma molto rara, è la crisi aplastica.
Per quanto riguarda la terapia, la splenectomia rimane ancora l’approccio di prima scelta (nell’ellissocitosi viene riservata solo alle forme più gravi).


Anemia emolitica da difetti enzimatici eritrocitari
Numerosi sono i difetti congeniti degli enzimi eritrocitari quali anomalie della via glicolitica (deficit di piruvato chinasi) o anomalie del metabolismo ossidoriduttivo (deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi, G6PD). Le loro conseguenze sulla sopravvivenza eritrocitaria possono essere più o meno gravi in relazione al grado di compromissione funzionale dell’enzima e dell’importanza delle reazioni implicate.
Il quadro clinico in caso di deficit di piruvato chinasi è quello di un’anemia emolitica che spesso si presenta con ittero neonatale, ittero che persiste e che di solito si associa a reticolocitosi molto elevata. Come già accennato, l’anemia è di gravità variabile, talora così grave da richiedere constante supporto trasfusionale, talvolta lieve, con alterazione emolitica pressochè compensata. Per tali motivi la diagnosi può essere ritardata e in alcuni casi è posta in età adulta. Il ritardo disgnostico è in parte dovuto al fatto che l’anemia è molto ben tollerata, dal momento che il blocco metabolico nell’ultima tappa della glicolisi causa un aumento del difosfoglicerato (DPG), uno dei principali effettori della curva di dissociazione dell’emoglobina per l’ossigeno. La cessione di ossigeno ai tessuti è perciò aumentata.
La G6PD è un enzima fondamentale per il metabolismo ossidoriduttivo e rappresenta, per gli eritrociti, l’unica fonte di NADPH che, direttamente e attraverso la via del glutatione (GSH), protegge tali elementi cellulari dagli stress ossidativi. Studi clinici sono fortemente a favore dell’ipotesi che il deficit di G6PD (il cui gene è legato al cromosoma X) sia stato selezionato dall’agente malarico Plasmodium falciparum, in virtù del fatto che esso conferisce una relativa resistenza nei confronti di tale infezione altamente letale. La maggior parte dei soggetti con deficit di G6PD resta clinicamente asintomatico nell’arco della vita, anche se tutti hanno un aumentato rischio di sviluppare ittero neonatale o anemia emolitica acuta a contatto con alcuni agenti ossidanti. I tre principali eventi scatenanti di anemia emolitica acuta comprendono i semi di fava, infezioni e farmaci (es sulfamidici). L’attacco emolitico inizia tipicamente con malessere, debolezza e dolore addominale o lombare. Dopo un intervallo variabile da alcune ore a 2-3 giorni il paziente sviluppa ittero e spesso le urine divengono ipercromiche (per l’emoglobinuria). L’esordio può essere immediato, soprattutto nel caso di favismo nei bambini. L’anemia è variabile, da moderata a gravissima, di solito normocitica e normocromica, e dovuta parzialmente a emolisi intravascolare, associandosi pertanto a emoglobinemia, emoglobinuria, elevati livelli di LDH, ridotti o assenti livelli plasmatici di aptoglobina. L’esame dello striscio di sangue mostra anisocitosi, policromasia e sferociti. Il reperto più tipico è la presenza di poichilociti bizzarri con eritrociti in cui l’emoglobina sembra irregolarmente distribuita (cellule emighost) ed eritrociti che sembrano essere stati morsicati (cellule morsicate o vescicolari). Un test classico, anche se oggi raramente effettuato, è la colorazione sopravitale con metil violetto che, se eseguita immediatamente, rivela la presenza di corpi di Heinz costituiti da precipitati di emoglobina denaturata, che sono considerati un segno di danno ossidativo eritrocitario. Come conseguenza di un’emolisi in parte anche extravascolare si osservano inoltre elevati valori di LDH e bilirubina non coniugata.


Anemia da disordini del trasporto cationico
Si tratta di rare condizioni a trasmissione autosomica dominante caratterizzate da aumento dei livelli intraeritrocitari di sodio, con una concomitante perdita di potassio (quindi talvolta sono diagnosticate in seguito al riscontro occasionale di pseudoiperkaliemia). Nei soggetti di alcuni gruppi familiari, il disturbo del trasporto cationico è associato a un incremento dell’acqua intracellulare: di conseguenza le emazie sono iperidratate (basso MCHC) e, all’esame morfologico del sangue periferico, l’area pallida centrale dell’eritrocita, normalmente rotondeggiante, assume una forma lineare, motivo per il quale, tale condizione, è stata denominata stomatocitosi. In altri soggetti, le emazie sono invece disidratate (MCHC elevato) e, in relazione alla conseguente rigidità, tale condizione è stata definita xerocitosi. L’emolisi può variare da forme relativamente lievi fino a forme piuttosto severe. È importante ricordare che la splenectomia è controindicata, dal momento che, nella maggior parte dei casi, è seguita da gravi complicanze tromboemboliche.


Sindrome emolitica uremica familiare
Gruppo di disordini rari che si presentano in genere in età pediatrica con anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia e insufficienza renale acuta. Viene anche definita atipica, per distinguerla dalla sindrome emolitica uremica causata dall’infezione da E. coli produttore della tossina Shiga, che viene invece denominata tipica. La base genetica consta di mutazioni a carico di almeno uno dei diversi geni codificanti per le proteine regolatorie del complemento. È una patologia severa, con una mortalità fino al 15% nella fase acuta e fino al 50% nei casi che evolvono in uremia. Spesso va incontro a remissione spontanea e la migliore strategia terapeutica rimane la plasmaferesi (permette di ripristinare i regolatori del complemento mancanti).


Anemie emolitiche autoimmuni (AEA)
Eterogeneo gruppo di malattie caratterizzate dalla presenza di autoanticorpi diretti contro componenti eritrocitarie. I segni clinici non dipendono unicamente dalla quantità degli anticorpi diretti contro i globuli rossi ma anche dalle loro caratteristiche termiche. Le AEA sono quindi classificate come AEA da anticorpi caldi che hanno maggior affinità per gli eritrociti a 37°C, e AEA da anticorpi freddi, che reagiscono intensamente a 4°C. Le AEA da anticorpi freddi comprendono la malattia da agglutinine fredde (forma cronica che di solito si manifesta in età avanzata) e l’emoglobinuria parossistica a frigore (forma piuttosto rara e più spesso osservata nei bambini, di solito scatenata da un’infezione virale e spesso a risoluzione spontanea; è caratterizzata dalla presenza del cosiddetto anticorpo di Donath-Landsteiner). Gli anticorpi freddi sono nella maggior parte IgM, mentre le AEA da anticorpi caldi sono nella maggior parte causate da IgG.
La distruzione degli eritrociti può avvenire ovunque vi sia abbondante presenza di macrofagi, per esempio milza, fegato e midollo osseo. A causa della sua peculiare anatomia, la milza è particolarmente efficiente nell’intrappolare gli eritrociti ricoperti dagli anticorpi, motivo per cui spesso rappresenta la sede principale di distruzione eritrocitaria. Sebbene nei casi gravi possano partecipare a tale processo anche i monociti circolanti, la maggior parte della distruzione eritrocitaria fagocitosi-mediata avviene nei siti citati precedentemente, venendo perciò definita emolisi extravascolare.
Il test diagnostico per le AEA è il test dell’antiglobulina o test di Coombs. L’efficacia di questo test è che esso rivela direttamente il mediatore patogenetico della malattia, vale a dire la presenza di anticorpi sulla superficie dei globuli rossi. Quando è positivo conferma la diagnosi, se è negativo la rende improbabile.


Emoglobinuria parossistica notturna (EPN)
L’EPN è un’anemia emolitica cronica acquisita, caratterizzata da emolisi intravascolare persistente, che va incontro a esacerbazioni ricorrenti. Oltre all’emolisi vi sono spesso pancitopenia e una peculiare tendenza alla trombosi venosa, triade che fa della EPN una condizione clinica veramente unica. Si tratta di un raro disordine clonale dell’emopoiesi caratterizzato dalla particolare suscettibilità delle cellule del sangue all’azione del complemento. Alla base di questa patologia si trova una mutazione del gene PIG-A (legato al cromosoma X) che determina un accorciamento di una molecola glicolipidica, il glicosilfosfatidilinositolo (GPI) ed una conseguente carenza delle proteine di membrana ad esso ancorate ed implicate nel controllo dell’attività litica del complemento sulla membrana eritrocitaria.
Il reperto principale a livello ematico è l’anemia, il cui grado può variare da lieve a moderato a gravissimo. Si tratta di solito di un’anemia normo-macrocitica, (se l’MCV è alto è di solito conseguenza della reticolocitosi) ma può divenire microcitica quando il paziente sviluppi sideropenia a causa di ematuria cronica in seguito all’emoglobinuria. Il midollo osseo è di solito ricco, con un’iperplasia eritroide marcata o massiva, spesso con aspetti di diseritropoiesi (di solito non tali da far confondere l’EPN con una sindrome mielodisplastica). A un certo punto della malattia il midollo può diventare ipocellulare o francamente aplastico.
La diagnosi si basa su test di laboratorio che evidenziano la particolare sensibilità degli eritrociti all’azione litica del complemento o su test che dimostrano la carenza delle proteine legate al GPI. 


Anemia emolitica da causa meccanica
In alcune condizioni gli eritrociti soccombono alla tensione o al logorio; il risultato è un’emolisi intravascolare con conseguente emoglobinuria. Una situazione è l’emoglobinuria da marcia, evento acuto e autoindotto. Il meccanismo patogenetico non è ben chiaro, è da considerare il tipo di caalzature usate. L’altra situazione, definita anemia emolitica microangiopatica, è cronica e iatrogena e si realizza in pazienti con protesi valvolari cardiache, soprattutto in presenza di rigurgito paraprotesico.


Anemia emolitica da farmaci e agenti tossici
Molte sostanze chimiche ad azione potenzialmente ossidante possono provocare emolisi anche in soggetti senza deficit di G6PD. Alcuni esempi sono l’ossigeno iperbarico (ossigeno al 100%), i nitrati ed il cisplatino. Altri composti come l’arsenico, il piombo ed il rame possono provocare emolisi attraverso meccanismi non ossidativi in gran parte sconosciuti. Gravi emolisi intravascolari possono essere inoltre causate dal veleno di alcuni serpenti (cobra e vipere), così come dal morso di ragni.
Anche i farmaci possono provocare emolisi attraverso sue principali modalità:
·         Il farmaco si lega alla membrana eritrocitaria e si comporta da aptene (es penicillina)
·         Il farmaco induce la formazione, forse mediante un meccanismo di mimetismo, di autoanticorpi antieritrocitari (es α-metildopa)


Anemia emolitica da infezioni

L’infezione di gran lunga più frequente che causa anemia emolitica nelle aree endemiche è la malaria. Nelle parti del mondo non endemiche la causa più frequente è invece il ceppo di Escherichia coli in grado di progurre la Shiga toxin, attualmente riconosciuto come agente eziologico principale della sindrome emolitico-uremica (più comune nei bambini rispetto agli adulti).

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